Siamo entrati nelle settimane calde della preparazione del Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (Dpef) per i prossimi tre anni. Il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, si è impegnato a presentarlo il 28 giugno in modo che il dibattito parlamentare inizi il 3 luglio. Venerdì 15 giugno il Governo ne presenterà i lineamenti alle parti sociali (che in effetti si aspettano almeno un semi-lavorato che non tratti soltanto di massimi sistemi). Come già documentato da Il Tempo del 28 maggio, i contenuti del documento (e della manovra settembrina) dipendono quasi interamente da cosa verrà deciso in materia di previdenza. A bocce ferme (e mantenendo immutata la riforma Maroni del 2004, con relativo “scalone” per i pensionamenti d’anzianità) sarebbero sufficienti 5-10 miliardi di euro di riduzione della spesa e aumenti delle entrate per restare nell’alveo concordato con l’Ue. Se venissero accolte le richieste della sinistra radicale, il conto arriverebbe a 30-40 miliardi , una stangata analoga a quella dell’anno scorso e tale da ammazzare i cavalli (le imprese) che tirano la carretta dell’economia italiana. Respingendo quanto vuole la sinistra radicale, ma abrogando lo “scalone” (ormai assurto a vessillo dell’orgoglio sindacale) ci vorrebbero dai 14 ai 19 miliardi – ancora una volta una cura molto pesante.
Che farà Tomaso Padoa-Schioppa (TPS per amici vicini e lontani)? E’ appena uscito piuttosto malconcio da un dibattito molto speciale al Senato che non ha giovato alla sua immagine (sulla stessa stampa estera, specialmente quella parigina a cui tiene tanto). Ha compreso la lezione: si è tenuto alla larga dalla polemica sulla previdenza con Château de la Muette, sede dell’Ocse nel quartiere più elegante della Ville Lumière. Non ha aggiunto la propria voce a quella di dirigenti ed esperti del Ministero del Lavoro che esprimevano “dissenso tecnico” nei confronti del metodo con il quale nella pubblicazione Pensions at Glance (“Uno sguardo alle pensioni”) vengono presentati i problemi dei sistemi previdenziali dei 29 Paesi Ocse – e la brutta figura che vi fa l’Italia (rispetto agli altri). Il metodo è estremamente semplificato – come è necessario per costruire tavole sinottiche di Paesi molto differenti (in termini di demografia, mercato del lavoro, previdenza). Il messaggio è, però, chiaro e forte: non solo si devono respingere tentativi di annacquare lo “scalone” ma se non si fa una rapida correzione, o la spesa previdenziale sbancherà i conti dello Stato o i nostri figli resteranno senza pensioni.
E’ noto, però, che Romano Prodi vuole fare da supermediatore e pur di non subire uno sfratto dal Palazzo darebbe un ritocco alla riforma Maroni per accontentare sindacati e sinistra radicale.
TPS – La preghiamo- eviti un’altra magra figura. Con il background francofilo si ricordi di quanto è successo a Giovanna D’Arco per dare troppo ascolto alle voci. Legga, invece, il libro appena pubblicato, presso il suo stesso editore (Il Mulino), dal Ministro dell’Interno Giuliano Amato a quattro mani con l’economista Mauro Maré dell’Università della Tuscia:Il gioco delle pensioni . Rien-ne-va-plus? . Il saggio sostiene tesi analoghe a quelle dell’Ocse (nonché del Fondo monetario, della Commissione europea e dei principali centri studi privati internazionali). Anche Lei, TPS, quando da Francoforte impartiva lezioni dalle colonne del Corriere della Sera, sosteneva molto cure più severe di quelle dell’Ocse & Co., nonché dell’accoppiata Amato-Mare, in materia di previdenza: ci ammoniva che in Svezia il periodo di transizione dal meccanismo retributivo a quello contributivo è stata fatta in tre anni (dal 1995 al 1998) mentre in Italia se ne prevedono 18 che , tenendo conto delle pensioni di reversibilità, potrebbero diventare dai 28 ai 35.
Eviti di trovarsi in una situazione schizofrenicamente pirandelliana con sé stesso (oltre che con l’Amato-Maré). Tanto più che la Storia insegna che i prodi durano poco.
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