Una prospettiva romana per
Debussy
Una sezione
importante del n. 295, aprile 2018, della nostra rivista è stata dedicata al
centenario della morte di Claude Debussy (Saint-Germain-en-Laye, 22 agosto 1862
– Parigi, 25 marzo 1918), una ricorrenza importante poiché – come ha ricordato
Maurizio Pollini — il compositore può essere considerato «il padre della
modernità». In Italia nessuna fondazione lirica ha avuto il coraggio di mettere
in scena la sua maggiore opera per il teatro, Pelléas et Mélisande, oppure
di riprendere uno dei suoi balletti, un tempo in repertorio tanto alla Scala
quanto all’Opera di Roma, oppure ancora di riproporre l’allestimento de Le
martyre de Saint Sebastien curato dalla Fura dels Baul, che eliminava gran
parte del testo di Gabriele d’Annunzio ma includeva quasi tutte le musiche di
scena del compositore e che alcuni anni fa si è visto in vari Paesi europei.
Quindi, la ricorrenza è stata celebrata principalmente nelle sale da concerto,
dove si sono ascoltate — e si ascolteranno sino alla fine dell’anno — molte
pagine sinfoniche e cameristiche di Debussy.
Unico
progetto organico è il ciclo di sei concerti, organizzato dall’Accademia
Filarmonica Romana in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, intitolato Prospettiva Debussy. Il ciclo in due parti (tre
concerti in febbraio e tre in aprile, tutti la domenica pomeriggio alle 17:30
nella Sala Casella nel centro della capitale) ha incluso gran parte della
musica pianistica e cameristica del compositore. Pagine che mostrano la sintesi
del simbolismo (esplicito e quasi sfacciato in Pélleas et Mélisande) con
l’impressionismo (che nella Francia di quegli anni trionfava nelle arti
figurative ed era molto apprezzato da Debussy). Più volte Debussy negò di
essere un «impressionista in musica», ma i tocchi leggeri, che suggeriscono
paesaggi, che sfumano il racconto in contorni di nebbia, visioni quasi oniriche
a volte al limite dell’incubo suggeriscono inevitabilmente le tele di Monet e
di Renoir. Come afferma Gianluigi Mattietti nel programma di sala del festival,
la pianistica e la cameristica evidenziano a tutto tondo la ricerca di una
nuova sintassi del suono da parte di Debussy.
I sei
concerti hanno offerto al pubblico una panoramica pressoché esaustiva della
importante produzione cameristica, per pianoforte solo, duo pianistico e
quartetto (nonché di liriche come le Chansons de Bilitis) del
compositore ed al tempo stesso hanno presentato un quadro dell’evoluzione della
società francese nei decenni in cui operò.
«Claude
Debussy è stato forse il compositore che prima di ogni altro ha segnato il
passaggio dal mondo musicale dell’Ottocento a quello della modernità, aprendo
le porte alla grande stagione delle avanguardie storiche del Novecento», spiega
Matteo D’Amico, direttore artistico della Filarmonica Romana. «Nell’anno in cui
ricorre il centenario della sua scomparsa, è quanto mai doveroso ricordarne
l’opera, stimolando le giovani generazioni di musicisti e di ascoltatori ad
approfondire il repertorio delle sue composizioni pianistiche e cameristiche,
che sono senz’altro la parte fondante del suo stile, del suo linguaggio e del
suo mondo poetico. Facendo leva su quell’efficientissimo laboratorio permanente
rappresentato dai corsi di perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia. I concerti hanno tutti avuto interpreti giovani», in gran misura
provenienti o dai corsi di perfezionamento o da ensemble costituiti da
strumentisti dell’orchestra sinfonica dell’Accademia.
Axel Trolese
Costanza
Principe
Maddalena
Giacopuzzi
Quartetto
Henao
Ad
inaugurare il ciclo sono stati i due pianisti Maddalena Giacopuzzi — veronese
classe 1991, che nel 2017 ha conseguito il diploma del corso di perfezionamento
all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e vincitrice di una borsa di studio
per la Music Academy of the West a Santa Barbara — e Axel Trolese, non ancora
ventunenne, già vincitore nel 2015 del Premio Alfredo Casella al 32° Concorso
pianistico “Premio Venezia”, attualmente iscritto ai corsi di perfezionamento
di Santa Cecilia e al master del Conservatoire National Supérieur di Parigi di
Denis Pascal, che proprio a Debussy ha dedicato la sua prima incisione
discografica (The Late Debussy: Études & Épigraphes antiques), che
ha raccolto lodevoli consensi della critica musicale. I due sono stati
impegnati in alcune delle più significative e celebri pagine pianistiche: Deux
arabesques, Rêverie, Suite bergamasque e Douze Études. Gli altri
concerti del ciclo sono stati affidati a Alice Cortegiani (clarinetto) e al
Trio Dmitrij, ai pianisti Leonardo Pierdomenico e a Francesco Granata, a Chiara
Osella (mezzosoprano) e ai pianisti Costanza Principe e Gesualdo Coggi nonché,
ancora, a Alberto Idà e Federico Nicoletta al pianoforte, ed al Quartetto
Henao. Gli esecutori invitati sono all’inizio della loro carriere ed a volte
appena usciti dai corsi di perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia. Il festival, quindi, ha offerto non solo una panoramica del lavoro del
compositore francese, ma anche dei giovani musicisti italiani alle prese con la
ricerca di una nuova sintassi musicale da parte di Debussy. La presentazione
dei lavori non è stata organizzata in ordine cronologico, ma per vasti temi —
ha naturalmente incluso i due libri degli Études — e si è conclusa il 22
aprile con un concerto che ha giustapposto il Quartetto in sol minore di
Debussy al Quartetto in fa minore di Ravel, una chiara dimostrazione di
come il lavoro del primo abbia ispirato quello del secondo, ponendo ancora una
volta Debussy come «il padre della modernità», quanto meno nella musica
francese.
Un programma
affascinante, che ha mostrato l’evoluzione non solo della musica, ma anche
della società francese in quegli anni della Terza Repubblica che si avvicinava
alla Prima Guerra Mondiale. Particolarmente importanti le due raccolte di
Etudes, del 1915 dove Debussy affronta in maniera sistematica problemi di
tecnica pianistica, con una scrittura che non corrisponde più ad alcuna logica
armonica o tonale, ma diventa un gioco combinatorio dove la dissonanza appare
totalmente emancipata. La Guerra Mondiale – ci dicono – è già iniziata e siamo
alle soglie di avanguardie che non avranno necessariamente matrici francesi.
Giuseppe
Pennisi
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