La quiete prima della tempesta
(finanziaria)
Si addensano
nubi nere di una crisi finanziaria prossima futura: che programmi hanno a
riguardo le varie forze politiche che si stanno cimentando per guidare
l’Italia? L'analisi di Giuseppe Pennisi
Il dibattito
sulla formazione del nuovo governo, un dibattito che si protrae da diverse
settimane, ha oscurato numerosi temi di economia e finanza internazionale. Tra
questi uno su tutti merita di essere portato all’attenzione dell’opinione
pubblica: si stanno addensando nubi nere di una crisi finanziaria prossima
futura. La quiete apparente dei mercati finanziari in questa primavera e le
modeste reazioni alle minacce di una guerra commerciale nascondono la
preparazione di una bufera. Una testata moderata come The Economist
afferma che i mercati finanziari oggi assomigliano ad uno di quei film
dell’orrore dell’epoca di Alfred Hitchcock, ad esempio L’uomo che sapeva
troppo , che inizia con una piacevole vacanza di famiglia in nord Africa e
termina con brividi alla Royal Albert Hall.
Sotto il
profilo tecnico l’aspetto più preoccupante è l’aumento dello spread tra il
tasso interbancario del dollaro a tre mesi sul mercato di Londra (una delle
definizioni del Libor) e l’indice dello swap overnight (Ios). Di norma, il
differenziale è impercettibile, appena lo 0,1% ma nella settimana che sta per
terminare oscilla tra lo 0,6% e lo 0,7%. Il differenziale è un indicatore del
rischio percepito dalle banche nel fare operazioni l’una con l’altra; per
esempio, al momento del fallimento di Lehman Brothers toccava il 3,6%, Inoltre,
l’indice di volatilità del mercato (Vix) è aumentato rapidamente in febbraio
per poi rientrare in marzo ed aprile. I tre indicatori suggeriscono che gli
operatori sui mercati azionari avvertono che il quadro si sta facendo più
difficile. L’incremento moderato dei tassi d’interesse negli Stati Uniti, e la
fine annunciata del Quantitave Easing (Q.e) nell’eurozona avvengono, per di
più, in un momento di rallentamento dell’economia reale, considerato
inevitabile perché l’economia americana cresce da otto anni (una delle più
lunghe fasi di espansione degli ultimi settanta anni) e la seconda maggiore
economia mondiale (quella cinese) è anche essa in un periodo di indebolimento.
A questi
elementi, si aggiunge la considerazione che negli anni dell’espansione mondiale
(a cui l’Italia è riuscita ad agganciarsi solo tardi e male), né i Paesi
industrializzati ad alto livello di reddito medio né quelli in via di sviluppo
sono riusciti a ridurre il peso dei loro debiti pubblici. Dati del Fondo
monetario internazionale (Fmi) documentato che nei Paesi ad alto reddito, in
media lo stock di debito pubblico dal 2012 non scende al di sotto del 103% del
Pil, un livello che non si conosceva dai tempi della seconda guerra mondiale;
paradossalmente, il debito pubblico comincia a mordere (anche se di poco) pure
in Arabia Saudita (dove era un fenomeno sconosciuto) a causa del ribasso dei
corsi del petrolio. Il debito dei Paesi a basso reddito è mediamente pari al
46% del loro Pil – un aumento di 14 punti percentuali rispetto al 2012. Nelle
classifiche del Fmi , il Paese più indebitato è il Giappone (240% del Pil); tra
i “grandi” Paesi (escludendo Grecia, Cipro e simili), l’Italia è il secondo in
classifica.
Se lo spread
Libor-Ios indica un focolaio di crisi nei mercati azionari, il debito pubblico
suggerisce che la miccia potrebbe essere nei mercati obbligazionari a causa del
timore di un default di questo o quello, per di più in una fase in cui le
banche si guardano con diffidenza.
Il prossimo
governo (quale che sia la sua struttura e composizione) dovrà cimentarsi con
questi nodi. Che programmi hanno le varie forze politiche che si stanno
cimentando per guidare l’Italia?
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