Quando anche il pianoforte diventa sovietico. La difficile vita dei pianisti sotto il comunismo (e il nazismo)
La presentazione al San Carlo di
Napoli dell’allestimento, nato ad Amsterdam, di Una Lady Macbeth del distretto di Mzensk,
di Dmitri Šostakovič, ha riproposto ancora una volta il tema del lavoro e dei
musicisti nella Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. L’opera –
ricordiamolo – venne messa all’indice da Stalin in persona nel 1936, nonostante
l’ancor giovane Dmitri Šostakovič fosse quasi il “compositore di corte” della
Mosca dell’epoca. Il teatro in musica ed il cinematografo vennero
strumentalizzati dal regime sovietico (fato analogo ebbero nella Germania
hitleriana e nell’Italia fascista) come strumento di mobilizzazione delle
masse. E’ molto meno noto che la cameristica e, in particolare, la pianistica
furono anche esse oggetto di attenzione speciale da parte del regime
staliniano.
Lo documenta un elegante volume uscito
in questi giorni: Soviet
Piano – I Pianisti dalla Rivoluzione d’Ottobre alla Guerra Fredda,
di Luca Ciammarughi (Zecchini Editore 2018, pp. 370, Euro 29). Ciammarughi,
conduttore su Radio
Classica dal 2007, vive la musica nella sua totalità: parlandone,
riflettendo su di essa, suonando. Pianista fra i più stimati della sua
generazione, ha una particolare affinità con la musica di Franz Schubert e con
la grande tradizione francese, da Rameau fino a Debussy e oltre. La passione
per l’arte nel suo complesso, dalla letteratura al teatro, e l’amore per i
viaggi lo conducono su un cammino animato da curiosità e continuo senso della
scoperta. Collabora assiduamente al mensile Musica.
Soviet Piano – I
Pianisti dalla Rivoluzione d’Ottobre alla Guerra Fredda
Luca Ciammarughi
Zecchini Editore 2018
pp. 370, Euro 29
Il volume, elegantemente rilegato
e con un’eloquente copertina, sorprende perché le persecuzioni subite da
compositori (specialmente di teatro in musica) e di registi (in particolare di
cinematografo) nella Patria del socialismo reale erano note, ma pochi si
aspettavano che solisti venissero anche loro considerati “nemici del popolo”,
sempre che non fossero diventati come Rostropovic e sua moglie apertamente
legati alla dissidenza.
Dalla attenta ricerca di
Ciammarughi, e dalla sua ottima prosa (mai troppo sofisticata o troppo tecnica
in quanto fatta per il lettore colto ma non specialista), apprendiamo che a
Horowitz adolescente è stato defenestrato il pianoforte, che il piccolo
Cherkassky sente il sibilo di un proiettile che passa sopra la sua testa e si
va a conficcare nel muro di casa, che Magaloff fugge in slitta con la famiglia.
Tutto ciò avveniva negli anni della rivoluzione d’ottobre o in quelli
immediatamente successivi, quando numerosi artisti pensavano che finito il
gioco puritano dello zarismo, era arrivata la libertà in molti campi, anche
quello sessuale: non per nulla in quel periodo la pièce teatrale di maggior
successo a Pietroburgo (non ancora rinominata Lenigrado) si intitolava L’amore di gruppo ed i
costumi erano biancheria intima (è stata ripresa a Bologna in un teatro
sperimentale una trentina di anni fa).
Al contrario, la presa di potere
sovietica su tutte le espressioni (anche il suono del pianoforte) sta
diventando sempre più stretta e sempre più severa. Lo studio la descrive con
puntualità nel periodo 1917-1991, ossia dall’inizio al crollo del regime
sovietico. Mentre da un lato sparivano i resti della Russia ottocentesca e si
andava verso la modernità (non dimentichiamo che nei primi anni successivi alla
rivoluzione d’ottobre fece passi avanti un “futurismo russo” ispirato a
Marinetti e che Šostakovič fu un grandissimo compositore e suonatore di jazz),
si intrecciavano “eroismi e drammi”: l’orgoglio solitario di Sofronickj, la
ribellione di Marja Judina nei confronti dello stesso Stalin, l’arresto di
Neuhaus per le sue origini tedesche e quello di Štarkman per l’omosessualità, i
tormenti di Richter e Gilels, le disavventure con il KGB di Aškenazi, Egorov,
Berman, Rudy, Gavrivol e molti altri. Tutti artisti lontani dalla politica e
che non avrebbero mai immaginato di diventare eroi.
Nella parte conclusiva, prima di
alcune interessanti interviste nell’appendice, Ciammarughi sottolinea che la
persecuzione degli artisti è l’altra faccia di una medaglia caratterizzata dal
forte senso della cultura che ha caratterizzato l’Unione Sovietica. Purché –
vorrei aggiungere – fosse di regime e consenziente nei confronti del regime
medesimo.
E’ un libro per chi studia storia
della musica? Certamente, ma si rivolge ad una platea molto più vasta. In primo
luogo, agli storici ed ai sociologi della politica, perché ci illumina su un
capitolo rimasto quasi sconosciuto oppure ignorato dalla storiografia e dalla
sociologia ufficiale. In secondo, agli uomini di cultura in senso lato perché
sappiano di cosa si nutriva il bolscevismo. E’ utile ricordare il film del
2002 Il Pianista di
Roman Polánski tratto dal romanzo autobiografico omonimo di Wladislav Szpilman,
un film che ha ottenuto la Palma d’Oro al Festival di Cannes: certi nazisti
avevano rispetto per i grandi pianisti. Con ciò non si vuole mostrare che il
nazismo avesse un volto migliore del comunismo ma che, come ha dimostrato
Luciano Pellicani in Lenin
e Hitler – I due volti del totalitarismo (Rubettino 2009) – se
visti da vicino si assomigliavano molto.
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