Così lo scontro tra colossi mette in crisi
profonda il funzionamento della Wto
I'dazi di Trump' hanno come principale obiettivo la Cina e le
sue prassi commerciali. Il più recente passo di Washington è stato quello di
deferire Pechino all’Organizzazione Mondiale del Commercio ( Wto) per
chiederne, in pratica, l’espulsione. Prima di andare alla vertenza specifica,
chiediamoci se la Wto ha la capacità di risolvere un conflitto che rischia di
mettere a repentaglio il commercio mondiale.
LaWto è, al tempo stesso, un insieme di regole per gli scambi
internazionali, un meccanismo di arbitrato ed un foro giurisprudenziale. Le
regole si basano su un principio semplice (alla base anche del suo
predecessore, il Gatt, Accordo Generale sulle Tariffe ed i Commerci): quello
della 'non discriminazione' tra gli Stati membri (164 più 22 osservatori), La
'non discriminazione' è il divieto di favorire uno Stato con accordi
commerciali non estesi a tutti gli altri 'soci', per così dire, della Wto.
Questo principio ha permesso dagli anni Cinquanta ad oggi una riduzione
colossale di dazi, un’apertura egualmente enorme dei contingenti quantitativi,
ed un aumento di trenta volte del commercio internazionale, vero e proprio
motore della crescita. Il sistema Gatt-Wto ha avuto momenti di grande successo
quale l’adattamento delle regole alle esigenze speciali degli Stati in via di
sviluppo (anche sulla base dell’enciclica Populorum Progressio), il sostanziale
abbattimento dei dai sui manufatti tra Usa e Ue a conclusione dei negoziati Kennedy
Round negli anni Sessanta, e la graduale liberalizzazione degli scambi
internazionali di servizi (principalmente, banche ed assicurazioni) e di alcuni
comparti agricoli (carni bovine) grazie al Tokyo Round (anni Settanta ed
Ottanta) ed allo Uruguay Round (anni Novanta ed inizio di questo secolo). Non
sono in corso attualmente negoziati multilaterali anche in quanto le
conclusioni delle ultime trattative del genere sono in fase di attuazione, ma
l’attività arbitrale è intensa.
La Cina è diventata membro della Wto il 15 dicembre 2001,
dopo lunghi negoziati in cui il suo maggiore sponsor erano proprio quegli Stati
Uniti con cui oggi Pechino è ai ferri corti. Allora , Washington vedeva nella
Cina un grande mercato potenziale per le proprie esportazioni. Gli altri
principali Stati della Wto avevano perplessità poiché non ritenevano che
l’immenso Paese fosse un’economia sufficientemente «di mercato». Pechino
accettò di effettuare una serie di drastiche riforme non solo in materia di
commercio internazionale di merci ma soprattutto di servizi (banche,
assicurazioni) e di aprirsi al resto del mondo. L’ammissione fu provvisoria;
ogni anno, la Cina si doveva assoggettare a una analisi dei progressi in
materia di liberalizzazioni interne e internazionali. Da allora, la Cina è
stata deferita circa 200 volte agli organi della Wto su singole vertenze
relative alle sue prassi commerciali. Nel contempo Pechino ha blindato i propri
confini geografici e telematici nei confronti di Apple, Google, Amazon e
Facebook e ha creato giganti analoghi (spesso copiando brevetti Usa ed europei)
per il proprio mercato, nonché mirando a quello di altri Paesi asiatici ed ora
anche europei (si pensi all’aggressività di una grande azienda cinese delle
vendite on line come Ali Baba). Sulla richiesta americana di non considerare la
Cina 'un’economia di mercato', si sta formando una grande coalizione, in primo
luogo di altri Stati dell’area del Pacifico. Pechino rischia molto più dei
'dazi di Trump'. E lo sa. Potrebbe essere indotta ad una transazione di grande
rilievo e spessore.
Giuseppe Pennisi
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