PROTESTE A CAVALLERIA E PAGLIACCI ALL’OPERA
DI ROMA
Giuseppe
Pennisi
Il pubblico del Teatro dell’Opera di
Roma è normalmente molto tranquillo ma alla prima della nuova produzione del
dittico Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo
è, in buona parte esploso in proteste
contro la lettura registica di Pippo Delbono anche perché prima dell’inizio
dell’opera e durante ciascun intervallo Delbono è intervenuto con un microfono
per spiegare la ‘sua’ concezione del lavoro. Tra le variegate urla: ‘vattene
via, egomaniaco’ e ‘ ridateci Zeffirelli’. Ed anche peggio.
. Diversi gli aspetti che rendono questo
spettacolo importante, non ultimo il fatto che Cavalleria rusticana vide
la sua prima assoluta proprio sul palcoscenico dell’Opera nel 1890. Sul podio
del Costanzi sale per la prima volta il maestro Carlo Rizzi. Cavalleria
rusticana, sul testo che Guido Menasci e Giovanni Targioni-Tozzetti
trassero dalla novella di Verga, e Pagliacci, sul libretto che Leoncavallo ricavò da un fatto di cronaca, sono
affidati alla lettura registica di Pippo Delbono. Il primo titolo è un allestimento del Teatro San Carlo di Napoli,
mentre Pagliacci è un nuovo allestimento, con il quale il regista debutta
all’Opera di Roma.
Molte volte ascoltando Cavalleria Rusticana ci
si chiede perché la sua prima rappresentazione a Roma il 17 maggio 1890 travolse
il teatro in musica italiano ed azzerò di un sol colpo tanto gli epigoni del
melodramma verdiano (di oggi non si rappresenta quasi più nulla) quanto il
“grand opéra” padano (di cui ha resistito agli anni
unicamente Gioconda di Amilcare
Ponchielli - e neanche tanto bene). In effetti, si tratta sovente di
allestimenti in teatri estivi all’aperto dove si gioca sulla notorietà
dell’opera, sul suo carattere popolare e sanguigno, sulla facilità di metterla
in scena con pochi interpreti (nonché con un’orchestra rimediata e spesso
ridotta in organico rispetto all’originale). Ascoltarla nel teatro dove debuttò, con una grande orchestra diretta da
Carlo Rizzi con maestria ed il coro guidato da Roberto Gabbiani, fa comprendere
come fu un vero tsunami nel teatro in musica dell’epoca e come ancora oggi, è
un capolavoro assoluto. L’organico orchestrale è vasto, come lo richiedeva
Mascagni (il quale - non dimentichiamolo - anche se sbarcava, male, il lunario
facendo il capo della banda comunale di Bisceglie, aveva studiato la partitura
de L’Anello del Nibelungo di Wagner).
Scarne le scene di Sergio Tramonti, semplici i costumi
di Giusi Giustino. Vengono utilizzati per le due opere; quindi l’allestimento
di Pagliacci
è molto differente da quello zeffirelliano di recente portato in
tournée in Medio Oriente dai complessi del Teatro dell’Opera di Roma. La regia
di Pippo Delbono è mostra, quindi, le sua provenienza dal teatro povero. Ed è
particolarmente discutibile in Pagliacci dove , eliminando il palco
per il ‘teatro nel teatro’, rende il secondo atto incomprensibile tanto più che
è lui (peraltro quasi sempre sul palcoscenico) non Canio a pronunciare la
battuta finale.
Carlo Rizzi offre una grande lezione
di stile. Dai colori tenui del breve preludio, si passa alla sensualità della
canzone detta “la Siciliana”, al grande coro antifonale per la Pasqua, al
“largo” del dialogo tra Santuzza e Mamma Lucia, al duetto con toni epocali tra
Santuzza e Turiddo al grande sinfonismo dell’intermezzo sino al “parlato” del
finale. Cast di grande livello. Anita
Rachvelishvili, un mezzosoprano di agilità al debutto nel ruolo di soprano
drammatico, è una
Santuzza che discende abilmente in tonalità gravi dopo aver toccato acuti da
stratosfera. Alfred Kim è un Turiddu generoso con un registro di centro alla
Corelli od alla Del Monaco. Anna Malavasi è un Mamma Lucia da manuale, Gevorg Hakobyan un Don
Alfio duttile e Martina Belli una Lola di agilità.
Pagliacci di Ruggero
Leoncavallo viene quasi sempre abbinata a Cavalleria. Ne segue, infatti, il
modello, anche se non ne ha né lo spessore né il fiato. Al pari di Cavalleria
è opera che parla immediatamente al pubblico, senza esigenza di
mediazione. Tratta di un fattaccio di sesso e sangue in un villaggio calabrese
che Leoncavallo sostenne di avere visto da giovane (ma la trama è molto simile
ad una pièce francese di successo in
quegli anni. La Femme du Tabarin di
Catullo Mendès). E’ scritto come una cronaca di un quotidiano di provincia e
sfoggia due tenori, uno lirico ed uno drammatico. E’ l’unica opera verista di Leoncavallo, il quale, coltissimo
(anzi erudito) e più anziano degli altri, si dedicò a opere storiche (da grand opéra padano) ad operette, trasformandosi ogni volta che si rivolgeva ad un differente stile ed ad un
diverso pubblico.
In questa produzione , Pagliacci è al tempo
stesso sanguigno e pasoliniano. Grande attesa per il debutto di Carmela Remigio , nata e cresciuta con il belcanto, in un ruolo
spiccatamente verista (Nedda); un’intelligente transizione vocale è in corso. Fabio
Sartori è un possente Canio; Gevorg Hakobyan veste bene i panni
di Tonio. Matteo Falcier e Dionisios Sourbis sono Beppe e Silvio.
Teatro pieno .
Ovazioni per . Anita Rachvelishvili e Fabio Sartori
Applausi calorosi per la parte musicale . Dell’accoglienza avuta dalla
regia si è detto.
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