Shostakovich/ "Una Lady
Macbeth del distretto di Mzensk": sangue e orgasmo
Il San Carlo
di Napoli merita di essere congratulato per avere portato in Italia
l’allestimento, nato ad Amseterdam, di Una Lady Macbeth del distretto di
Mzensk. GIUSEPPE PENNISI 20 aprile 2018 Giuseppe Pennisi
Foto Luciano
Romano
Il San Carlo
di Napoli merita di essere congratulato per avere portato in Italia
l’allestimento, nato ad Amseterdam, di Una Lady Macbeth del distretto di
Mzensk di Dmitri Shostakovich. Un allestimento crudo e violento, fatto di
sangue ed orgasmo, che ha destato, come era prevedibile, polemiche e contrasti
ma che meglio di altri rispecchia lo spirito del lavoro. Un’opera di rara
esecuzione in Italia anche a ragione del grande organico orchestrale e vocale
che richiede ma che negli ultimi quindici anni ho avuto la fortuna di vedere
del vivo in due differenti Festival Maggio Musicale Fiorentino, al Festival
delle Notte Bianche a San Pietroburgo ed al Festival di Salisburgo con
bacchette come Chung, Bichkov, Giergiev, e Jansons - ciascuna delle quali ha
dato un proprio taglio personale al lavoro. In effetti, è un’opera più da
Festival che da ‘stagione’ o da repertorio. Un motivo in più per lodare il San
Carlo, dove Una Lady Macbeth del distretto di Mzensk si vista solo due
volte, nel 1964 e nel 2000.
Parlai
dell’opera su questa testata l’estate scorsa in una corrispondenza da
Salisburgo. In breve, messa all'indice da Stalin in persona nel 1936,
nonostante l'ancor giovane Dmitri Shostakovich fosse quasi il "compositore
di corte" della Mosca dell'epoca, è forse il dramma in musica con più
sesso e violenza estrema della prima metà del Novecento. Supera la stessa Lulu
di Berg che è schiettamente erotica (ma non sessuale).
La Lady
di Shostakovich, tratta da un racconto breve di Nicolai Leskov, è tutta sesso e
sangue. Il compositore aveva tra i 25 ed i 27 anni quando adattò, in gran parte
di proprio pugno, il racconto e lo mise in musica; da pochi mesi si era sposato
con Nina Varzar, con cui già da diversi anni aveva un rapporto fortemente passionale.
Nel difendersi dalle accuse, che portarono al ritiro dalle scene ed al
rimaneggiamento sostanziale dell'opera (decenni più tardi), sostenne che il
lavoro non tratta della degenerazione dell'amore in violenti, rapporti
puramente sessuali ma della natura stessa dell'amore che, "frustrato dalle
condizioni esteriori della vita", deve giungere a "farsi spazio con
l'omicidio". Occorre dire che il racconto di Leskov, improntato ad un
naturalismo di fine ottocento, è ancora più trucido: include l’omicidio, da
parte della protagonista e del suo amante, anche di un bambino di dodici per
una questione di eredità dei (già assassinati) suocero e marito.
La
protagonista, Katerina Ismailova, ha sposato un mercante e possidente locale,
ma, nella noia della provincia, è concupita dal vecchio suocero e trova sempre
più inutile il marito il quale sembra essere impotente. Cade nelle braccia
dell’operaio Sergej. Con quest'ultimo uccide dapprima il suocero e poi il
marito. I due finiscono, come è d'uopo, all'ergastolo in Siberia. Nel viaggio
verso la colonia penale, un nuovo ménage à trois: Sergej, Katerina ed
un'altra ergastolana, Sonetka, di cui l’operaio si è invaghito. Katerina la
uccide, e si uccide, gettandosi con lei in un lago quando si accorge che
Sonetka è la preferita e Sergej giunge a truffarla di un paio di calze. In
effetti, Katerina è l'unico personaggio analizzato a tutto tondo e
sostanzialmente positivo; gli altri sono poco più che caratterizzazioni della
società borghese che Lenin e Stalin volevano distruggere. In diversi momenti,
la musica è pervasa da ironia proprio nei confronti della borghesia.
Shostakovich chiamava il lavoro ‘tragedia-satira’; in effetti, è una ‘tragedia’
(se non altro per il numero di omicidi in scena) ma è anche una ‘satira’ nei
confronti del ceto sociale che lo stesso compositore, da buon comunista,
disprezzava , pur amando lo champagne (russo) e gli abiti eleganti.
L'ira di
Stalin non cadeva sulla vicenda, né sul libretto quanto mai esplicito (per il
teatro in musica degli anni trenta). Il racconto era già stato oggetto di un
film di successo, perfettamente accettato dal ‘regime’ L'ira era con la
partitura, chiamata "caos non musica". Scrittura difficile, che
richiede un grande organico ed è intrisa del linguaggio del Novecento allora
più moderno, incluso il jazz di cui Shostakovich era un grande culture; la
musica accentua il sesso ed il sangue con la ferocia degli ottoni (chiamati a
sottolineare gli amplessi) e l'arditezza delle soluzioni timbriche. Utilizza
richiami a canti e cori popolari nonché alla "musica futurista" russa
che aveva appassionati in quegli anni prima di essere schiacciata dalla
stalinismo. Richiede un enorme organico orchestrale, diciotto solisti in venti
ruoli, un grande coro e frequenti cambiamenti di scene. Richiede soprattutto
una direzione incalzante, veloce, a volte ruvida ma pronta al tempo stesso a
scivolare in afflati lirici negli intermezzi.
A Napoli ,
la regia di Martin Kušej, uno dei più noti registi austriaci, la scena
essenzialmente unica, di Martin Zehetgruber ed i costumi contemporanei di
Heider Keister pongono l’accento sulla tragedia (una tragedia di sesso e
sangue) più che sulla satira. La scena unica è una teca trasparente che diventa
di volta in volta la magione degli Ismailov e vari locali del palazzetto, la
fabbrica, la caserma della polizia e numerosi esterni, grazie a rapidi
siparietti e veloci cambiamenti di attrezzeria. L’azione drammatica è diretta
con grande abilità e con enfasi sui giochi quasi ginnici di corpi (spesso
seminudi). Sia per la lingua sia per la destrezza fisica il coro maschile del
Mariinskij di San Pietroburgo (guidato da Andrei Petrenko) è stato chiamato a
dare man forte a quello del San Carlo(diretto da Marco Faelli). I quattro atti
sono stati divisi in due parti, con i più lunghi primo e secondo atto nella
prima parte ed i più brevi terzo e quarto nella seconda. Ciò ha fornito una
maggiore coerenza drammaturgica rispetto ad altre produzioni, ma un certo
squilibrio tre le due ore della prima parte e poco più di un’ora nella seconda.
Jurai
Valcuha dirige con grande perizia l’orchestra del San Carlo. A differenza di
altri concertatori che ho ascoltato dal vivo dirigere Una Lady Macbeth del
distretto di Mzensk , all’orgasmo ed al sangue (che non manca) aggiunge un
elemento lirico di pietas per gli sfortunati protagonisti. La sera che
ho visto ed ascoltato l’opera la protagonista Katerina era interpretata da
Elena Mikhailenko, un soprano drammatico di grande livello, con un volume
wagneriano tale da avvolgere platea e palchi del San Carlo, un fraseggio
perfetto, ed in grado di sostenere a lungo gli acuti e di recitare con abilità.
Il suo Sergej era Ladislav Elgr, un tenore boemo dal timbro leggermente
brunito, meno squillante di quello, ad esempio, di Brandon Jovanovich che la scorsa
estate ha interpretato il ruolo a Salisburgo, Dmitry Ulyanov è un baritono di
grande scuola, nel ruolo di Boris, il libidinoso suocero; ha interpretato più
volte questa parte e sa darle un tocco di malignità. Ludovit Kudha è Zinovi,
suo figlio e marito di Katarina; un bravo tenore lirico che incarna bene un
impotente. Nonostante appiana solo al quarto atto merita una menzione
Julia Gertseva, sensuale amante di Sergej sulla via della Siberia ed ultima
vittima di Katarina. Bravi tutti gli altri.
Grande meritato
successo.
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