FINANZA E GOVERNO/ I tre
macigni che complicano la scelta di Mattarella
Oggi
Mattarella dovrebbe prendere una decisione riguardo le mosse da intraprendere
per arrivare alla formazione di un Governo. Ci sono dei problemi con lo
aiutano. GIUSEPPE PENNISI 23 aprile 2018 Giuseppe Pennisi
Sergio Mattarella (Lapresse)
Oggi 23
aprile si attende la decisione del Capo dello Stato dopo le 48 ore di
riflessione prese al termine del poco fruttuoso giro di perlustrazione da parte
della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati nella qualità di
esploratore. Si prospetta un incarico analogo al Presidente della Camera dei
Deputati Roberto Fico. Mentre l'incarico alla Alberti Casellati aveva
l'obiettivo di esaminare le possibilità di un Governo M5S-Centrodestra, quello
a Fico avrebbe come obiettivo principale studiare se ci sono le condizioni per
un "contratto di governo" M5s-Pd. Il Capo dello Stato potrebbe anche
rompere gli indugi e conferire un pre-incarico a personalità di grande
prestigio, e di grande esperienza politica, con il compito di verificare le
possibilità di un Governo sostenuto da tutti i maggiori schieramenti, a ragione
della gravità della situazione internazionale e delle crescenti preoccupazioni
di finanza pubblica che gravitano sul Paese.
Questa
ipotesi è aumentata tra sabato e domenica quando è apparso palese che la
sentenza di primo grado sulla cosiddetta "trattativa Stato-Mafia", ha
avuto effetti opposti quelli immaginati, in un primo momento, dal "capo
politico" del M5s; invece di indurre la Lega a uscire dalla coalizione di
centrodestra, l'ha spinta a stringersi ancora di più a Forza Italia, nella
convinzione di acquisirne parte degli elettori, man mano che, anche e
soprattutto per ragioni anagrafiche, Berlusconi si allontana dalla politica
attiva. In tal caso, M5s resterebbe con il classico cerino accesso e non
avrebbe altra strada che quella di un accordo con il Pd per quello che sarebbe
un "governicchio", a ragione di una maggioranza molto risicata e dei
contrasti interni ai democratici. Mentre Salvini e la Lega aspetterebbe in riva
al fiume l'esito dei risultati non tanto delle elezioni regionali in Molise e
Friuli-Venezia Giulia, quanto di quelle in giugno in cui milioni di italiani
andranno a votare per rinnovare migliaia di amministrazioni comunali.
È su questo
sfondo che si pongono i problemi di finanza pubblica che incombono sull'Italia
che, in questi giorni, non solo le forze politiche (assorbite dalle trattative
per la formazione del Governo), ma anche la grande stampa sembrano se non
ignorare quanto meno non dare a essi il rilievo che meriterebbero.
Il primo
riguarda l'economia internazionale, ma tocca specificatamente l'Italia. Al
termine di una delle più lunghe fasi di espansione dopo la Seconda guerra
mondiale, si sta approssimando un rallentamento che potrebbe essere l'inizio di
una nuova recessione. Il Fondo monetario internazionale e il Centro studi
Confindustria prevedono un leggero scivolo verso una graduale, ma breve,
contrazione del Pil mondiale. L'Italia, anche per le politiche adottate e
seguite negli ultimi anni, non è stata in grado di agganciarsi alla ripresa
mondiale e ora rischia di essere trascinata in una nuova recessione.
Più
preoccupato e più preoccupante il quadro delle maggiori agenzie di rating: guardare
i mercati finanzari - scrive tacitaniamente ed eloquentemente The
Economist nel fascicolo del 21 aprile - vuol dire assistere a un film
dell'orrore. Vi risparmiamo i dettagli. In sintesi, il
"governicchio" sarebbe alle prese con severe difficoltà sul fronte
sia del sistema bancario (alla prese con crediti deteriorati, incagliati e non
esigibili), sia del quello della valutazione del nostro debito pubblico e dei
nostri titoli di stato. Già "il gruppo degli otto" Stati dell'Unione
europea esprime dubbi sulla validità di valutare al nominale i nostri titoli di
Stati nella pancia della Banca centrale europea.
Il secondo
riguarda la strada verso il consolidamento della finanza pubblica. Subito dopo
le elezioni - occorre ricordarlo - è giunta all'Italia una lettera della
Commissione europea che esprime perplessità sulle legge di bilancio 2018, e a
maggiore ragione sui conti previsionali per il 2019 e 2020. Appena insediato il
"governicchio" dovrebbe fare una "manovra di aggiustamento"
di circa 15 miliardi unicamente per il 2018 (in corso) e prevedere misure
severe per il 2019 e 2020. Ciò vorrebbe dire incidere pesantemente su
provvedimenti in essere cari al Pd e su provvedimenti futuri in bella vista
nelle proposte elettorali del M5s. Non certo il modo migliore per iniziare un
matrimonio più di interessi (politici e legittimi) che di amore (Pd e M5s si
sono scambiati insulti negli ultimi cinque anni),
Il terzo
riguarda il debito pubblico. Con l'adesione all'euro, il beneficio in termini
di riduzione del costo del servizio è stato cospicuo: nel 1996 pagammo 115
miliardi di euro (equivalenti) di interessi sul debito; nel 2006, 66 . Non
abbiamo fatto buon uso di questo vantaggio e oggi il nostro debito pubblico, in
rapporto al Pil, è al 132%, il secondo (dietro quello giapponese) tra i grandi
Paesi industriali; il 30% è nelle mani di non residenti; la durata media è 6,11
anni. Un "governicchio" potrà trovare e iniziare la strada per
uscirne?
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