La difficile fattibilità del progetto di
un Fondo monetario dell’Ue che dia un impulso alla crescita
Se esistesse il Fondo monetario europeo (Fme) proposto dal
Presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, le istituzioni
dell’Ue avrebbero uno strumento in più per invigorire la ripresa in atto?
Difficile dare una risposta secca. In particolare in una fase in cui, la Banca
centrale europea (Bce) diminuirà, come annunciato, la intensità delle «misure
monetarie non convenzionali» (ossia del Quantitative Easing). L’istituzione di
un Fme non è un’idea del tutto nuova. Nel lontano febbraio 1980, al X Congresso
del Movimento federalista europeo (Mfe), venne approvata con grande clamore la
proposta di dare vita a un Fme come precursore di una futura unione monetaria.
Non se ne fece nulla in quanto l’accordo europeo sui cambi (meglio conosciuto
come Sme) era stato appena creato e già navigava in acque difficili.
La proposta ora sul tappeto è ovviamente differente da quella
di 38 anni fa . Il Fme proposto da Juncker sarebbe diverso nome ed amplierebbe
i compiti del cosiddetto Fondo Salva Stati. È stato presentato a inizio
dicembre con l’aspettativa che ne sarebbe stata iniziata una discussione
all’ultimo Consiglio Europeo del 2017 ma non se ne è parlato sia perché c’erano
argomenti più pressanti (l’immigrazione) sia perché era necessario il parere
dell’Ecofin, la cui prossima riunione è il 21 gennaio. Nella proposta, il Fme
dovrebbe salvaguardare la stabilità finanziaria nell’Eurozona, attivando linee
di credito per gli Stati a rischio crac in cambio di programmi di riassetto
concordati con l’Ue. La maggiore garanzia di stabilità potrebbe creare
un’atmosfera più propizia alla crescita.
Esperti consultati dalla commissione economica del Parlamento
europeo (Pe), che deve essere chiamato a vagliate la proposta, hanno frenato
sull’idea. Secondo, Daniel Gros, capo del think tank Ceps, lo stesso termine
Fme dovrebbe essere usato con cautela. Secondo Gros. basterebbe, invece,
introdurre due modifiche 'fondamentali' all’Esm. Primo, i programmi di aiuti
dovrebbero fare a meno del contributo del Fmi (e quindi non sarebbero soggetti
alle sue richieste, come sta avvenendo per la Grecia). Secondo, i Paesi
dell’Eurozona dovrebbero riunire le loro quote al Fmi in un’unica
partecipazione, che si aggirerebbe sui 60 miliardi, da usare per salvare un
Paese dell’euro con condizioni 'più leggere' di quelle che impone il Fmi
adesso. Charles Wyplosz, evidenzia il rischio di 'azzardo morale': con un Fme
gli Stati avrebbero meno resistenze ad aumentare il loro debito, sapendo che
verrebbero 'salvati'. Inoltre, la funzione principale del Fmi è la gestione
collegiale dei tassi di cambio ed interventi per prevenire (e impedire)
svalutazioni competitive e restrizioni commerciali. Difficile vedere come ciò
possa funzionare nell’ambito di un’unione monetaria e in un mercato unico. Il
Fme proposto da Juncker avrebbe la possibilità di emettere obbligazioni
sintetiche. Compiti che possono essere svolti dalle istituzioni esistenti senza
cambiarne nomi o aggiungerne altre.
Giuseppe Pennisi
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