Čajkovskij/ A 125 anni dalla
morte del compositore due orchestre e sei serate
Un grande
avvenimento a Roma per aprire il 2018: al Parco delle Musica, nel grande
auditorium ‘Santa Cecilia’ per commemorare Cajkovskij. GIUSEPPE PENNISI 16
gennaio 2018 Giuseppe Pennisi
Un momento del festival
all'Accademia Santa Cecilia
Un grande
avvenimento a Roma per aprire il 2018: al Parco delle Musica, nel grande
auditorium ‘Santa Cecilia’ (oltre 3000 posti) due orchestre, tra le prime del
mondo quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e quella del Teatro
Mariinskij di San Pietroburgo – dall’11 al 16 gennaio sono state protagoniste
di un breve festival (sei intense serate) per commemorare Cajkovskij in
occasione dei 125 anni dalla morte del compositore considerato tra i più
rappresentativi dell’epoca romantica. L’Orchestra dell’Accademia ha eseguito
l’ultima opera del compositore Iolanta, mentre quella del Teatro
Mariinskij le sei sinfonie. Sul podio in tutte le sei serate un grande
maestro della musica e della tradizione russa come Valery Gergiev,
Il festival ha
preso il via con Iolanta, opera in un atto incentrata sulla vita di
Iolanda d’Angiò, ispirata al dramma di Henrik Hertz La figlia del re René. Una
vicenda storica che Cajkovskij ambienta in un’atmosfera fiabesca, che complice
anche la ricca orchestrazione, esalta la vicenda della bella principessa che
riacquista la vista grazie alla potenza dell’amore. E’ lavoro di non semplice
interpretazione. Da un lato – come afferma uno dei protagonisti dell’azione
scenica - la favola ed i suoi simboli (le rose bianche e le rose rosse)
rappresentano l’equilibrio “della carne e dello spirito”, che, raggiunto nella
grande scena d’amore della seconda parte dell’opera, ha la premessa per un
lieto fine non di maniera.
Ci può
essere, però, anche una lettura meno banale: così come Schiaccianoci (nelle
versioni più moderne) viene visto come l’allegoria di un’iniziazione
erotico-sessuale (piuttosto che come un raccontino natalizio per educande), Iolanta
è la scoperta graduale della diversità (la cecità per la figlia del Roi René,
l’omosessualità per Ciajkosvkij) tramite un rapporto amoroso completo (quindi
“di carne” e “di spirito”); Iolanta supera la propria condizione
acquisendone consapevolezza tra le braccia di di Vaudémont, mentre per il
compositore la realizzazione della sua condizione è l’anticamera di quello che
probabilmente è stato un suicidio imposto (ed anche assistito).
Due anche le
possibili letture musicali. Siamo al massimo della perizia tecnica di
Ciajkovski; gli impasti cromatici mirabilmente fusi con ariosi, romanze, cori
ed un lungo duetto diatonico possono essere letti come una raffinata, ma
fredda, scrittura alle soglie del liberty, quindi come lavoro anticipatore del
simbolismo oppure come una confessione drammatica in cui pure il grande
concertato a dieci voci e coro del finale assume tratti di un inno alla gioia
vagamente amaro, dunque interpretazione romantica.
Due anni fa,
al Maggio Musicale Fiorentino, Stanislav Kochanovskyla l'ha interpretata come
un lavoro precursore del simbolismo e di Debussy. A Roma , Valery Gergiev e
prima di lui Temirkanov (nel 1985 e nel 2001) l'hanno letta come ultimo sublime
frutto del romanticismo russo e precorritrice di quello che sarebbe sta il
tardo romanticismo tedesco. A mio avviso, la seconda interpretazione è la più
corretta.
Il cast è di
grande livello: bravissimi, oltre che belli, la coppia Iolanta- Vaudemont
(Irina Churilova e Najmiddin Maviyanov), eccellenti il Roi René (Stanislav
Trofinov), il Duca di Borgogna (Alexei Markov), il medico arabo (Roman
Burdenko) ed anche i ruoli minori (Andrei Zorin) , Yuri Vorobiev, Natalia
Yevstafieva, Kira Loginova, Yekaterina Sergeyeva.Un cast nettamente superiore a
quello ascoltato nel 2016 al Maggio Musicale Fiorentino. Nella lettura intensa
di Gergiev, in orchestra acquistano uno smalto particolare i legni e gli
ottoni. Ottimo, come sempre il coro diretto da Ciro Visco. In una sala
stracolma, ovazioni il 13 gennaio al termine dell’esecuzione.
L’omaggio a
Cajkovskij è continuato con l’esecuzione integrale delle sei
sinfonie eseguite dall’Orchestra del Teatro Mariinskij - una delle più antiche
e prestigiose al mondo, della quale Gergiev è Direttore Principale e Direttore
Generale Artistico dal 1988 - presente nelle stagioni ceciliane sin dal 1993.
Domenica 14
gennaio, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha ospitato la cerimonia di
apertura del Festival “Stagioni russe” patrocinato dal governo della
Federazione Russa e sotto la supervisione del Ministero della Cultura
russo. Il programma del concerto ha compreso la Sinfonia n.1 “Sogni
d’inverno” e la Sinfonia n. 6 “Patetica”. composte da
Cajkovskij rispettivamente dopo pochi mesi dal diploma di composizione - la
Prima Sinfonia - e negli ultimi mesi di vita la Sesta. Tra i due estremi, si
snoda l’opera di Cajkovskij e il continuo contrasto tra il successo e il
tormento interiore che non abbandonò mai il compositore.
Lunedì 15
gennaio è in programma la Sinfonia n. 2 “Piccola Russia”, nella
quale il lirismo caratteristico della vena compositiva di Cajkovskij si sposa
con i numerosi richiami alla musica tradizionale russa e la Sinfonia n. 5
scritta nell’estate del 1888 dopo il superamento di un periodo di crisi
creativa.
Martedì 16
gennaio, il Festival si conclude con un’ultima coppia di sinfonie, costituita dalla
prima esecuzione romana della Sinfonia n. 3 “Polacca”, composta nel 1875
– l’unica delle sei scritta in cinque movimenti – e dalla Sinfonia n. 4
che vide luce nei due anni seguenti che coincisero con l’incontro tra
Cajkovskij e la baronessa von Meck, ricca appassionata di musica che divenne
per quattordici anni fedele mecenate e amica del compositore.
Ottime
ambedue le orchestre nelle loro diversità; più smagliante quella dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia, dai colori e dalle tinte più ‘russe’ quella del
Teatro Mariinskij.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento