martedì 2 gennaio 2018

Anno del cane o anno da casi in Formiche mensile gennaio 2018



Oecomonicus
ANNO DEL CANE O ANNO DA CANI
Giuseppe Pennisi
Presidente della Commissione Informazioni del CNEL e del comitato scientifico di ImpresaLavoro
Come sarà il 2018 sotto il profilo economico? In gran parte dipende dalla politica, non solo da quella di casa nostra ma anche da quello in Paesi dell’eurozona a noi vicini e per noi importanti.
Secondo il calendario cinese, il 2018 è l’anno del canne, animale domestico che fa compagnia all’uomo, ha un temperamento dolci e moli cinesi lo godono anche in salmì. Ma potrebbe essere anche un anno da cani, con un rapido raffreddamento dei segnali di ripresa in atto dal secondo semestre 2017 e, anche di una nuova crisi finanziaria con implicazioni molto vaste sull’economia reale
Le previsioni ecometriche di autorevoli istituti di ricerca italiani sono generalmente ottimistiche, così come lo sono quelle del Documento di Economia e Finanza (base per la Legge di Bilancio) approvata all’inizio di dicembre. Indicano che tra il secondo semestre 2017 ed il quarto semestre del 2018 il Pil aumenterebbe complessivamente del 2,7% ,ad un saggio annuo sull’1,3-1,5% l’anno, modesto ma pur sempre migliore della doppia recessione e della stagnazione che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni. E’ doveroso, tuttavia, rammentare che i venti maggiori istituti econometri internazionali (tutti privati, nessuno italiano) tracciano un quadro meno roseo:la fase di espansione dell’eurozona, in gran misura da attribuirsi alle misure straordinarie di politica monetarie messe in atto dalla Banca centrale europea (BCE), starebbe dando segni di rallentamento. Ciò potrebbe essere particolarmente grave per l’Italia che si è agganciata a questa fase non sul nascere ma quando stava declinando. Il documento previsionale di Prometeia rammenta che negli ultimo trent’anni rispetto ai nostri vicini Francia e Germania abbiamo perso 22 punti percentuali di crescita effettiva del Pil e 18% punti percentuali in termini di Pil procapite – la diminuzione della popolazione spiega la differenza. Quindi, abbiamo comunque un bel cammino da fare se vogliamo tornare al livello dei nostri partner più vicini. L’’anno del cane’ , con il suo andamento lento non ci è di grande aiuto. Rappresenta, tuttavia, la scenario più incoraggiante.
Sarebbe,invece, negativo se ci fossero strattoni dal lato della politica. Al momento in cui scriviamo , è difficile fare stime sull’esito dei risultati delle elezioni in Catalogna e se le trattative in corso per formare un Governo di grande coalizione andranno a buon fine o se al di là delle Alpi e del Reno si dovrà tornare ad elezioni precedute da una campagna elettorale che potrebbe portare ad una frattura tra CDU e CSU (i due partiti ‘cristiani’ e moderati del Nord e della Baviera). L’Italia sarebbe il Paese più colpito.
In un’Europa che ha appena avuto il colpo della Brexit, in cui la “questione catalana” resterà irrisolta a lungo, in cui in Repubblica Ceca, in Polonia ed in alcuni Lânder settentrionali della Germania tornano i revanscismi (ove non peggio), la Repubblica Federale Tedesca è stata per anni il pilastro di stabilità. Se questo pilastro traballa, i suoi effetti si sentiranno in tutto il continente, specialmente nella monca “unione monetaria”. L’Italia è, il Paese più cagionevole. Il nostro debito pubblico sta per approssimare quello della Gran Bretagna al termine della Seconda guerra mondiale ma non c’è né la sterling dollar diplomacy (che creò il sistema di Bretton Woods) né il Piano Marshall a risolverlo. Se la Germania entra in campagna elettorale i candidati dei differenti schieramenti si mostreranno meno solidali nei confronti di un Paese che si è dato un sistema elettorale che porta a lite continue.
 Le principali forze politiche, dato che le elezioni legislative sono imminenti anche da noi, non hanno esplicitato come vorranno affrontare i problemi immediati (la possibile, ove non probabile, crisi finanziaria della prossima primavera-estate) e quelli di medio e lungo periodo (soprattutto, la produttività multifattoriale). È normale che i detentori di titoli nel nostro debito, pensino a sbarazzarsene. E non certo per sostituirli con quelli di banche italiane.

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