FINANZA E POLITICA/ Italia, la
"serie B" dell'Ue è pronta
Francia e
Germania sono pronte a firmare una risoluzione per potenziare la loro
integrazione. Una mossa che danneggia molto l'Italia. GIUSEPPE PENNISI 08
gennaio 2018 Giuseppe Pennisi
Emmanuel
Macron (Lapresse)
È legittimo
domandarsi, come fanno numerosi commentatori, se l'Italia non finirà
nell'angolo, nel contesto europeo, a ragione della strategia franco-tedesca. Il
4 gennaio è stato annunciato, contemporaneamente, da Berlino e da Parigi che il
22 gennaio, nel cinquantacinquesimo anniversario del Trattato dell'Eliseo
(firmato da Konrad Adenauer e da Charles De Gaulle), l'Assemblea nazionale
francese e il Bundestag tedesco voteranno simultaneamente una risoluzione per
potenziare l'integrazione economica (e politica) tra i due Paesi che
diventeranno un motore più forte per l'Unione europea. Anche a costo di
lasciare indietro, e pure di fare uscire, qualcuno che non possa e non voglia
tenere il passo.
Il negoziato
che ha portato alla stesura della risoluzione comune dei Parlamenti di Francia
e Germania è stato effettuato in grande riservatezza, tenendo completamente
all'oscuro gli altri partner dell'Ue. Da un lato, la decisione di
"aggiornare" il Trattato dell'Eliseo può essere interpretata come la
constatazione di un mero stato di fatto: i Paesi dell'Ue non possono o non
vogliono giungere a un'Unione sempre più stretta (come recita il Trattato di
Lisbona del 13 dicembre 2007). Già molto prima di allora, gruppi di Stati
dell'Ue avevano stipulato accordi come quelli per l'unione monetaria (Trattato
di Maastricht) e per libera circolazione (Trattato di Schengen). Su numerosi
temi essenziali per l'integrazione (alcuni come la politica per l'immigrazione,
particolarmente importanti per l'Italia) il "gruppo di Visegrad" (Repubblica
Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria) viaggia da tempo per conto suo. Quindi,
un'Europa a più velocità è nella realtà delle cose e
"l'aggiornamento" del Trattato dell'Eliseo non sarebbe che una mera
"presa d'atto". Da un altro lato, la decisione di Francia e Germania
può essere letta come la volontà di attuare uno stretto coordinamento delle
loro politiche economiche e di basare su tale coordinamento il "nocciolo
duro" dell'Ue, dando un ruolo sempre meno significativo, nelle strategie europee,
ai Paesi che non vogliono o non possono reggere il passo.
In ambedue
le ipotesi, a mio avviso, nel contesto Ue, l'Italia avrebbe un ruolo secondario
e subordinato. Nella prima ipotesi, in quanto conseguenza della "presa
d'atto". Nella seconda, in quanto risultato di una chiara decisione dei
due azionisti di maggioranza di non considerarci all'altezza. Lo dimostra il
fatto che mentre venimmo consultati ai tempi della preparazione del Trattato
dell'Eliseo (che il Governo italiano dell'epoca salutò con gioia dato che
sanciva la riconciliazione tra i due Stati dopo decenni di guerre tra le sue
sponde del Reno), questa volta nessuno ha alzato il telefono per avvisare il
nostro Presidente del Consiglio, il nostro ministro degli Esteri e della
Cooperazione internazionale, o anche solamente i nostri ambasciatori a Berlino,
a Parigi e a Bruxelles. Questa è prova molto più significativa degli abbracci
televisivi tra i nostri Presidente del Consiglio, da un canto, e il Cancelliere
tedesco e il Presidente francese, dall'altro.
I nodi
principali sono la bassa crescita, la stagnazione della produttività e
soprattutto il peso del debito pubblico che ci rendono fragili e poco
affidabili. Dal 2014 a oggi il debito pubblico italiano è cresciuto di 138
miliardi di euro, mentre quello della Germania è diminuito di 63 miliardi. È
questo uno dei dati emersi da una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro
che, elaborando dati della Banca centrale europea, analizza l'andamento dei
debiti sovrani dal 2014 al 2017 delle cinque principali economie europee. La
conferma è venuta il 5 gennaio dallo stesso Istat nel Conto Trimestrale delle
Amministrazioni Pubbliche.
Lo scenario
è inquietante e coinvolge anche il resto dell'Ue poiché in prospettiva l'Italia
appare come l'anello debole da cui potrebbe partire una crisi finanziaria che,
inevitabilmente, coinvolgerebbe gli altri, mettendo a repentaglio la stessa
Unione. Da un canto, il Quantitave easing, che ha contribuito in misura
essenziale al collocamento dei nostri titoli di Stato, sta per essere dimezzato
in intensità. Dall'altro, i tassi d'interesse si prospettano in rialzo in tutto
il mondo. Rendendo più pesante il nostro debito pubblico. Da un altro ancora, i
programmi di politica economica dei partiti che si apprestano alle prossime
elezioni non sembrano mirati alla soluzione di questo problema, aggravato
nell'ultima legislatura. Non c'è neanche una proposta di rivisitazione della
spesa pubblica per renderla più efficiente e più efficace, tagliando i rami
secchi.
In un libro
recente Euxit, uscita di sicurezza per l'Europa (in uscita anche
inglese), un europeista convinto come Roberto Sommella, direttore delle
relazioni esterne dell'Antitrust, fondatore dell'Associazione Nuova Europa e
cittadino onorario di Ventotene sostiene che c'è un'unica strada per
controbattere le tesi di chi vorrebbe tornare a confini e monete nazionali, in
un momento dove tutte le elezioni sono un referendum sull'euro e sull'Ue: la
convocazione di una grande Conferenza che abbia all'ordine del giorno la
redazione di una Costituzione europea, il rafforzamento dei poteri del
Parlamento europeo, la riforma della legge elettorale con espressa scelta del
Presidente della Commissione da parte dell'elettorato. Solo così l'Ue potrà
essere una vera Federazione, abbandonando una terra di mezzo che ricorda i
presupposti che hanno portato all'implosione della ex Jugoslavia e dell'Unione
Sovietica. Rispetto a questa visione, la decisione di Francia e Germania
rappresenta un passo indietro: un nocciolo duro ben integrato e "satelliti"
aggregati e monitorati anche perché per anni non mantenuto i patti.
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