sabato 27 gennaio 2018

Il costo più alto del neo protezionismo lo pagherebbero Asia e America Latina in Avvenire 27 gennaio



Il costo più alto del neo protezionismo lo pagherebbero Asia e America Latina
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha giocato a carte scoperte: sin dalla campagna elettorale, ha detto di favorire non il commercio libero ('free') ma equo ('fair'). In inglese c’è solo una differenza d’intonazione tra free e fair. Per fair non intende – come si voleva dire negli anni Settanta (quando a questo scopo venne creata l’Unctad, organo delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo) un commercio che favorisca i Paesi più poveri. Ma scambi tali da difendere imprese e lavoratori americani dalle importazioni da aree a basso reddito. Dopo un anno alla Casa Bianca, il 22 gennaio, un suo decreto ha imposto dazi elevati nei confronti di importazioni di lavatrici e pannelli solari. A Washington, sono in cantiere misure restrittive nei confronti di siderurgia, alluminio e una lunga lista di altri prodotti. Il deprezzamento del dollaro è parte di una strategia per respingere le importazioni negli Usa e stimolare, invece, l’export del 'made in Usa'.
Da quando, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, David Ricardo formulò la Teoria dei costi comparati sappiamo dalla libertà degli scambi guadagnano tutti. Lo prova la forte crescita economica che ha accompagnato l’economia mondiale dal 1945, dovuta in gran misura dalla liberalizzazione dei commerci dovuta alle trattative multilaterali prima in seno al Gatt (Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio) e poi al Wto (Organizzazione Mondiale del Commercio), che ha sviluppato un codice di regole tali da rendere gli scambi sia free sia fair .Tutti i principali modelli econometrici (quali quelli dell’Italia) considerano il commercio mondiale la 'variabile indipendente' a cui è correlata la crescita del Paese.
Cosa avverrebbe se prevalesse l’ondata neo protezionistica? A metà dicembre, la Banca Mondiale ha concluso uno studio, ancora non pubblicato.Vengono tracciati due scenari. Il primo riguarda un ritiro coordinato (ossia negoziato a livello multilaterale seguendo le regole Wto) dagli impegni in essere in materia di riduzione di restrizioni e dagli schemi unilaterali di preferenze commerciali (e un relativo aumento dei costi dei servizi commercia-li): ne risulterebbero perdite di reddito reale mondiale dello 0,3% l’anno che dopo tre anni raggiungerebbero 211 miliardi di dollari, concentrati sui Paesi dell’Asia e dell’America Latina. Il secondo, riguarda misure restrittive uni-laterali, ma maneggiate con la cura di evitare una guerra commerciale. La contrazione del reddito reale mondiale sarebbe del 2,1% l’anno, ossia tra i 611 ed i 634 miliardi di dollari (a seconda dell’andamento dei costi dei servizi commerciali); colpirebbe soprattutto Asia ed America Latina.
La Banca Mondiale non quantizza un terzo scenario: quello di una guerra commerciale, ossia del prevalere di azioni di ritorsione contro le misure unilaterali Usa. È difficile una stima quantitativa sino a quando non si hanno dettagli sulle specifiche misure. Si prospetta uno scenario apocalittico. Vale la pena ricordare che tanto la prima quanto la seconda guerra mondiale furono precedute da una frammentazione del commercio e da una contrazione degli scambi mondiali risultanti da battaglie a base di dazi e contingenti.
Giuseppe Pennisi
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