L’analisi.
Il fantasma
dell’«output gap», l’altro nodo dei contrasti con Bruxelles
GIUSEPPE
PENNISI
Un elemento
puramente tecnico-statistico, ma che ha assunto una marcata valenza politica
nel confronto tra Italia (e altri stati dell’Unione Europea) e la Commissione è
il calcolo dell’output gap, il differenziale tra Pil potenziale e Pil effettivo. I Trattati
europei e il Fiscal Compact fanno riferimento, per il calcolo dei vari
parametri dell’unione, all’equilibrio strutturale di bilancio, che vuol dire al
netto di effetti ciclici di breve periodo. Quanto più piccolo è il gap, tanto
minore è la componente ciclica di disavanzo pubblico che si può sottrarre dal
computo degli indicatori da confrontare con i parametri europei. Nonostante la
Commissione e l’Ocse utilizzino lo stesso metodo di calcolo per il Pil
potenziale, le differenze nelle ipotesi a base delle misurazioni possono
portare a risultati drasticamente divergenti. Le stime differiscono in
particolare riguardo alla definizione di disoccupazione strutturale: mentre
l’Ocse si serve del concetto di Nairu ( Non-Accelerating Inflation Rate of
Unemployment), ossia quel tasso di disoccupazione che garantisce la
stabilità dei prezzi, ancorando le aspettative agli obiettivi della banca
centrale (2% nell’Ue), la Commissione si basa sul Nawru (il Wage of
Unemployment), il tasso di disoccupazione che non altera la dinamica
salariale. Bruxelles incorpora così nel concetto di 'disoccupazione
strutturale' buona parte del ciclo economico, con implicazioni a ribasso sul
Pil potenziale. Prendendo il documento della Commissione 'Come utilizzare al
meglio la flessibilità prevista nel Patto di Stabilità e Crescita', nel 2015
l’output gap sarebbe stato pari a -3,8% per l’Italia, che si sarebbe
dovuta trovare in una congiuntura moderatamente sfavorevole: questo avrebbe
comportato l’obbligo di aggiustare il saldo strutturale di uno 0,25% del Pil.
Secondo le procedure Ocse, invece, l’output gap sarebbe stato di -5,8
punti percentuali. L’Italia sarebbe stata in una fase eccezionalmente
sfavorevole e non le sarebbe stato richiesto nessun aggiustamento. Con un
maggiore beneficio per le famiglie e una maggiore spinta a investire per le
imprese.
Gli Stati Ue
che si considerano sfavoriti dal metodo della Commissione si sono più volte
rivolti a Bruxelles, a partire dal ministro Padoan. La differenze persistono,
però, anche se numerosi economisti ritengono il Nawru un indicatore più
significativo. Se ne discuterà al prossimo Ecofin del 5-6 dicembre.
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