Ecco perché in Italia Mister
Spread si eccita
AddThis Sharing Buttons
Share to WhatsAppShare to TwitterShare to Facebook4Share to Google+Share to LinkedInShare to E-mail
Il commento
dell'economista Giuseppe Pennisi
Il 15
novembre, lo spread tra titoli di stato tedeschi e quelli italiani ha
raggiunto, e leggermente superato, quota 166. Ancora più preoccupante è che il
divario con i bonos spagnoli si ponga su circa 60 punti di base.
Da un lato,
sono tornate le giornate in cui ogni sera anche le massaie di Voghera (ossia
l’uomo della strada) guarda con ansia allo spread. Il governo, nella campagna
referendaria, sostiene che l’aumento dello spread all’avvicinarsi del 4
dicembre, sia il frutto della timore dei mercati internazionali del “salto nel
buio” che farebbe l’Italia in caso di vittoria, al referendum, del No e della
caduta dell’esecutivo. L’opposizione replica che, come in Edipo Tiranno di
Sofocle, il Presidente del consiglio è l’unico dell’accorgersi che la causa
dell’andamento dello spread è lui, con economia allo sbando dopo circa tre anni
di governo, liti continue con l’Unione europea, difficile marcia indietro nei
confronti degli Stati Uniti (dopo essersi fatto sostenere da Obama sta
ora tentando di allacciare rapporti amichevoli con Trump) e tentativi di
recuperare voti, all’interno sia dalla destra sia dai movimenti populistici.
Indubbiamente,
ci sono componenti politico-elettorali nell’aumento dello spread. Tuttavia,
sarebbe errato, a mio parere, porre l’accento su questi elementi. Anche ove Renzi
decidesse di rimettere il mandato e di posporre sine die il referendum
costituzionale, lo spread continuerebbe a darci preoccupazioni per ragioni
strettamente economiche e finanziarie.
In primo
luogo, l’economia reale sta entrando di nuovo in deflazione come confermano i
più recenti dati Istat sull’andamento dei prezzi, delle produzione e anche di
quell’occupazione che sarebbe dovuto essere il vanto della politica della
legislatura in corso. Istituti di ricerca che non hanno pregiudizi nei
confronti dell’esecutivo (come Ref e Prometeia) affermano, nelle loro consuete
previsioni di fine anno, che nel 2017, l’Italia rischia di avere un tasso di
crescita inferiore a quello della stessa Grecia, vero e proprio fanalino di
coda dell’eurozona.
In secondo
luogo, in un quadro del genere, lo stock di debito pubblico non può che
aumentare, sia in termini assoluti sia rispetto al Pil. In base al Trattato di
Maastricht lo stock di debito pubblico italiano avrebbe dovuto raggiungere in
questi anni circa il 60 per cento del Pil, mentre è attorno al 135 per cento.
Metà circa dello stock di debito pubblico italiano è in mano a operatori
stranieri che chiedono naturalmente rendimenti più elevati ogni volta che il
Tesoro si rivolge al mercato per rifinanziare titoli in scadenza.
In terzo
luogo, la legge di bilancio suscita apprensioni: il disavanzo programmato avrà
come conseguenza principale quello di aumentare il debito e di renderlo più
fragile sul piano internazionale.
In quarto
luogo, nonostante alcune eccellenze tecnologiche che può vantare l’Italia,
abbiamo perso il 25 per cento della capacità produttiva nel manifatturiero e ci
presentiamo con un sistema bancario denso di problemi.
In quinto
luogo, si è alle prese con una riforma istituzionale che distrae governo,
parlamento e opinione pubblica dai veri problemi dell’economia.
Nessun commento:
Posta un commento