FINANZA E POLITICA/ La
settimana chiave dello spread
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lunedì 7 novembre 2016
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NEWS Economia e Finanza
Oggi inizia
la settimana in cui lo spread tra i nostro Btp e i Bonos spagnoli sarà
l’indicatore da osservare con maggiore attenzione. Perché i Bonos e non i Bund
tedeschi? La settimana scorsa il differenziale tra Btp e Bund ha superato i 160
punti di base, mentre quello tra Bonos e Bund ha toccato i 100 punti di base. Ciò
vuole dire che i mercati internazioni vedono con più apprensione l’Italia di
una Spagna che è stata per mesi senza Governo, che ha la fama (a torto o
ragione) di essere meno sviluppata del nostro Paese, che è da poco uscita da
una complessa crisi finanziaria e “bolla immobiliare”, che è tormentata da
fibrillazioni separatiste. Se i mercati vedono l’Italia con maggior
preoccupazione di quanto non vedano la Spagna non c’è da stare allegri. E
occorre chiedersi perché.
La settimana
che inizia oggi sarà senza dubbio caratterizzata da tensioni chiunque sarà il
vincitore delle elezioni negli Stati Uniti, dato che nessuno dei due
concorrenti pare esprimere il meglio di quanto possa offrire la società
americana. Non rappresentano neanche la “mediocrazia” teorizzata da Fabian
Michael Tassone e Dominique Lecourt, secondo i cui libri la politica
(professione precaria ed ad alto rischio) non attira più the best and the
brightest (i migliori e i più intelligenti, dal titolo dello studio di
David Halberstam sulla squadra delle Amministrazioni Kennedy e Johnson sino
alla guerra in Vietnam), ma solo chi è alla ricerca di facili guadagni e
affamato di potere. I due candidati alla Casa Bianca sono forse l’espressione
di quanto di peggio gli Stati Uniti possano offrire. Quale che sia il
risultato, soprattutto se il vincitore avrà pochi punti di vantaggio sul vinto,
ci saranno probabilmente accuse di brogli e forse nuovi conteggi dei voti in
certi Stati. Come avvenne nel 2000, quando la vittoria di Bush senior venne
decisa in tribunale oltre un mese dopo le elezioni. Quindi, l’incertezza
dominerà le piazze internazionali.
In una
situazione del genere, tutti i birilli balleranno, soprattutto i più deboli.
Gli ultimi rapporti di Prometeia e Ref, presentati il 2 novembre a un seminario
dell’Arel (non una sede che ha preconcetti anti-governativi) presentano un
quadro allarmante dell’economia italiana. In estrema sintesi, se negli ultimi
anni siamo stati penultimi dell’eurozona in termini di crescita economica, nel
2017 rischiamo di essere gli ultimi. Ciò principalmente perché lo stimolo
economico dato dal deficit ottenuto in deroga ai trattati europei non è
sufficiente a rivitalizzare un’economia schiacciata da un debito che, in
percentuale del Pil, rischia di essere maggiore nel 2017 di quanto non lo è nel
2016.
La mattina,
sempre del 2 novembre, Jean-Paul Renne, dell’Università di Losanna, ha
presentato in un seminario ristretto alla Banca d’Italia un nuovo modello
econometrico elaborato con Olesya Grishchenko del Federal Reserve Board e Sarah
Mouabbi della Banque de France per stimare inflazione e tassi d’interesse negli
Stati Uniti e nell’eurozona a cinque anni (non a due anni come fanno gran parte
del modelli attualmente in uso). Non c’è da stare allegri: negli Usa, dopo un
aumento di inflazione e tassi nei prossimi mesi, si tornerebbe a calma piatta;
in Europa si resterebbe a calma piatta e neanche una maggiore dose di
Quantitative easing riuscirebbe a migliorare la situazione.
In un’Europa
a calma piatta, però, c’è chi è più piatto degli altri. E le classifiche di Ref
e Prometeia mostrano che non siamo affatto in buona posizione. Se lo spread sale
occorre al più presto avere al Governo una squadra che “faccia” politica
economica e affronti il problema del debito.
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