Il giovane Bellini debutta a Jesi
Una prima mondiale a Jesi? Di un’opera
dimenticata (e mai ascoltata in versione integrale critica) di Vincenzo
Bellini?
Ebbene sì. Ciò spiega perché nella sala del
delizioso Teatro Pergolesi, venerdì sera c’erano numerosi critici, e musicologi
stranieri, principalmente austriaci e tedeschi ma anche francesi.
In scena Adelson e Salvini che l’allora ventitreenne Vincenzo Bellini, al termine del corso di
composizione, mise in scena nel febbraio 1825, nel teatro del Real Collegio di
Musica di Napoli, seguendo le regole dell’istituzione: ad esempio, trattandosi
di un collegio maschile, i ruoli femminili venivano interpretati da adolescenti
con registro simile a quello dei contralti. L’opera, pur se concepita come un
saggio di fine corso, ebbe un certo successo e si vide e Venezia, Firenze,
Milano e qualche altra città. In una “seconda versione” di cui non pare che
Bellini ebbe mai contezza, è apparsa, senza grande successo, a Catania nel 1980
e nel 1992. Una svolta decisiva si è avuta con il ritrovamento di molte parti
della versione originale nel Fondo Mascarello del conservatorio di Milano. Dopo
anni di lavoro, viene presentata , secondo il filologo musicale Fabrizio Della
Seta, al 98% identica all’originale nel 1825. Perché la si mette in scena a
Jesi? Secondo quella che era una buona prassi, le tre rappresentazioni jesine,
sono un’anteprima dell’allestimento che sarà il fulcro del prossimo Festival
Bellini a Catania. Nella versione originale del 1825, pur nei vincoli e limiti
di un saggio di conservatorio, il lavoro ha alcune caratteristiche di grande
interesse. In primo luogo, è una rara opera italiana di quel periodo con parti
dialogate (in luogo di recitativi), quindi “in stile francese” con il “basso
buffo” che recita e canta in napoletano (nonostante la vicenda si svolga tra le
brume irlandesi) . In secondo luogo, pur se si avvertono forti influenze
rossiniane (il pesarese era stato per anni il Re della musica a Napoli), ci
sono anche spunti che sembrano originate da Schubert e dell’allora giovanissimo
Mendelssohn-Bartholdy, segno che, nonostante le difficoltà logistiche,
l’innovazione viaggiava. Non ci sono presagi di quello che sarebbe stato “il
bel canto” belliniano ma numerosi spunti del primo Romanticismo, periodo in cui
l’opera andò in scena. I momenti musicalmente più alti sono i duetti tra
baritono e tenore. L’intreccio riguarda l’amicizia per la pelle di due giovani,
un aristocratico britannico e un pittore italiano.
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