REFERENDUM/ Il test già
fallito dalla riforma
Pubblicazione:
lunedì 28 novembre 2016
Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan (LaPresse)
Approfondisci
NEWS Economia e Finanza
La ragione economica
principale che viene adotta per cambiare la Costituzione è la necessità di
decisioni spedite a fronte di esigenze urgenti provocate dall'integrazione
economica internazionale. Questa era la motivazione apportata negli anni
Ottanta dalla "grande riforma" preconizzata da Bettino Craxi che
comportava apertamente un rafforzamento dell'Esecutivo (o tramite un
semi-Presidenzialismo alla francese o tramite un Cancellierato alla tedesca).
Il rafforzamento dell'Esecutivo avrebbe comportato necessariamente una
riduzione del ruolo del Parlamento. Come è noto, non se ne fece nulla, anche e
soprattutto a ragione del forte radicamento della democrazia parlamentare e
della centralità, quindi, del Parlamento nella tradizione e nella cultura
italiana.
Ragioni
analoghe vengono ora proposte alla base dei cambiamenti a numerosi articoli
della seconda parte della Costituzione su cui gli italiani sono chiamati a
esprimersi domenica 4 dicembre. Sono un economista, non un giurista, e forse
per questo motivo numerosi cambiamenti proposti sono espressi in un linguaggio
poco comprensibile: dato che la Costituzione dovrebbe essere strumento di
coesione nazionale, ogni sua riga dovrebbe essere chiara e trasparente a tutti
i cittadini della Repubblica.
Formalmente,
gli emendamenti della Costituzione non cambiano la forma di Governo, ma lo
fanno di soppiatto, spostando pesi e contrappesi tra tutti i principali organi
dello Stato. Se gli emendamenti verranno approvati, e soprattutto se saranno
anche accompagnati da una legge elettorale fortemente maggioritaria (sul tipo
di quella approvata nel 2015 per la Camera dei deputati e attualmente in
vigore), la forma di governo cambierà sostanzialmente, anche se in via
surrettizia. Si avrebbe un "Premierato" in cui il Parlamento non
esprimerebbe il Governo, ma diventerebbe servente dell'Esecutivo, poiché gran
parte dei componenti dell'Assemblea sarebbero eletti, con un metodo fortemente
maggioritario, solamente in seguito a una loro candidata da parte delle
segreterie dei partiti e dei movimenti. Su di essi penderebbe la spada di
Damocle di non essere ricandidati se non seguono indicazioni e dettami
dall'Esecutivo. La forma di governo ne guadagnerebbe in
stabilità-governabilità, ma ne perderebbe in rappresentatività.
Si sarebbe
raggiunto l'obiettivo di stabilità-governabilità in grado di rispondere
speditamente ed efficacemente in caso di esigenze derivanti dal processo
d'integrazione economica internazionale? Proprio in Italia, negli ultimi tre
anni, anche senza gli emendamenti alla Costituzione, si è vissuti in un sistema
del genere. Il Presidente del Consiglio è anche segretario del Partito di
maggioranza relativa che con pochi voti ha ricevuto un premio di maggioranza
giudicato "abnorme" dalla stessa Corte Costituzionale. Ha goduto,
quindi, di una fortissima maggioranza alla Camera dei deputati e ha attratto al
Senato chi, eletto in altri partiti, ha ritenuto utile e opportuno sostenere il
premierato di fatto instaurato. Di conseguenza, il Governo ha goduto della
massima stabilità e di tutti gli strumenti per rispondere a tendenze e a
tensioni del ciclo economico provenienti dal resto del mondo, e anche
dall'interno del Paese.
Forse perché
gli emendamenti alla Costituzione sono stati una grande arma di distrazione di
massa, da distrarre l' Esecutivo da quello che lo stesso Presidente del
Consiglio aveva presentato come suo obiettivo primario (il rilancio
dell'economia), l'andamento di crescita e occupazione è stato tra i peggiori
d'Europa (come documentato su queste pagine), ci siamo
trovati travolti in una crisi del settore creditizio che i nostri partner sono
riusciti a evitare (almeno in parte), non abbiamo assolto alla nostra stessa
legge costituzionale rinforzata sul consolidamento della finanza pubblica, il
debito pubblico è cresciuto e minaccia non solo l'Italia ma l'intero sistema
finanziario europeo.
A fronte di
un'esperienza così disastrosa viene il dubbio che il premierato, vero o
surrettizio, non sia affatto lo strumento istituzionale essenziale per
rispondere alle esigenze dell'economia globalizzata. Oppure che non si sia
proprio fatta una politica economica adeguata.
© Riproduzione Riservata.
Pubblicazione:
lunedì 28 novembre 2016
Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan (LaPresse)
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NEWS Economia e Finanza
La ragione economica
principale che viene adotta per cambiare la Costituzione è la necessità di
decisioni spedite a fronte di esigenze urgenti provocate dall'integrazione
economica internazionale. Questa era la motivazione apportata negli anni
Ottanta dalla "grande riforma" preconizzata da Bettino Craxi che
comportava apertamente un rafforzamento dell'Esecutivo (o tramite un
semi-Presidenzialismo alla francese o tramite un Cancellierato alla tedesca).
Il rafforzamento dell'Esecutivo avrebbe comportato necessariamente una
riduzione del ruolo del Parlamento. Come è noto, non se ne fece nulla, anche e
soprattutto a ragione del forte radicamento della democrazia parlamentare e
della centralità, quindi, del Parlamento nella tradizione e nella cultura
italiana.
Ragioni
analoghe vengono ora proposte alla base dei cambiamenti a numerosi articoli
della seconda parte della Costituzione su cui gli italiani sono chiamati a
esprimersi domenica 4 dicembre. Sono un economista, non un giurista, e forse
per questo motivo numerosi cambiamenti proposti sono espressi in un linguaggio
poco comprensibile: dato che la Costituzione dovrebbe essere strumento di
coesione nazionale, ogni sua riga dovrebbe essere chiara e trasparente a tutti
i cittadini della Repubblica.
Formalmente,
gli emendamenti della Costituzione non cambiano la forma di Governo, ma lo
fanno di soppiatto, spostando pesi e contrappesi tra tutti i principali organi
dello Stato. Se gli emendamenti verranno approvati, e soprattutto se saranno
anche accompagnati da una legge elettorale fortemente maggioritaria (sul tipo
di quella approvata nel 2015 per la Camera dei deputati e attualmente in
vigore), la forma di governo cambierà sostanzialmente, anche se in via
surrettizia. Si avrebbe un "Premierato" in cui il Parlamento non
esprimerebbe il Governo, ma diventerebbe servente dell'Esecutivo, poiché gran
parte dei componenti dell'Assemblea sarebbero eletti, con un metodo fortemente
maggioritario, solamente in seguito a una loro candidata da parte delle
segreterie dei partiti e dei movimenti. Su di essi penderebbe la spada di
Damocle di non essere ricandidati se non seguono indicazioni e dettami
dall'Esecutivo. La forma di governo ne guadagnerebbe in
stabilità-governabilità, ma ne perderebbe in rappresentatività.
Si sarebbe
raggiunto l'obiettivo di stabilità-governabilità in grado di rispondere
speditamente ed efficacemente in caso di esigenze derivanti dal processo
d'integrazione economica internazionale? Proprio in Italia, negli ultimi tre
anni, anche senza gli emendamenti alla Costituzione, si è vissuti in un sistema
del genere. Il Presidente del Consiglio è anche segretario del Partito di
maggioranza relativa che con pochi voti ha ricevuto un premio di maggioranza
giudicato "abnorme" dalla stessa Corte Costituzionale. Ha goduto,
quindi, di una fortissima maggioranza alla Camera dei deputati e ha attratto al
Senato chi, eletto in altri partiti, ha ritenuto utile e opportuno sostenere il
premierato di fatto instaurato. Di conseguenza, il Governo ha goduto della
massima stabilità e di tutti gli strumenti per rispondere a tendenze e a
tensioni del ciclo economico provenienti dal resto del mondo, e anche
dall'interno del Paese.
Forse perché
gli emendamenti alla Costituzione sono stati una grande arma di distrazione di
massa, da distrarre l' Esecutivo da quello che lo stesso Presidente del
Consiglio aveva presentato come suo obiettivo primario (il rilancio
dell'economia), l'andamento di crescita e occupazione è stato tra i peggiori
d'Europa (come documentato su queste pagine), ci siamo
trovati travolti in una crisi del settore creditizio che i nostri partner sono
riusciti a evitare (almeno in parte), non abbiamo assolto alla nostra stessa
legge costituzionale rinforzata sul consolidamento della finanza pubblica, il
debito pubblico è cresciuto e minaccia non solo l'Italia ma l'intero sistema
finanziario europeo.
A fronte di
un'esperienza così disastrosa viene il dubbio che il premierato, vero o
surrettizio, non sia affatto lo strumento istituzionale essenziale per
rispondere alle esigenze dell'economia globalizzata. Oppure che non si sia
proprio fatta una politica economica adeguata.
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