sabato 3 marzo 2012

Il sovrano ripudia il debito quando fa vacillare il trono in Avvenire 4 marzo

l’analisi Il sovrano ripudia il debito quando fa vacillare il trono


DI GIUSEPPE PENNISI

I sovrani, soprattutto se sono mi¬litarmente forti, hanno l’abitu¬dine di ripudiare i propri debi¬ti. Ciò avviene dai tempi dell’unio¬ne monetaria dell’Impero Romano. Se sono in bolletta e non dispon¬gono di eserciti leali, fanno un debt equipe swap come i francesi quan¬do cedettero ai Savoia prima il Pie-monte e poi la Sardegna, pensando valessero meno del credito vantato nei loro confronti dai Signori di Chambery. Dalla fine degli anni ’80, agenzie bilaterali e multilaterali di aiuto allo sviluppo (dalla 'coope¬razione' italiana - quando esisteva - al Fondo monetario, dalla Banca mondiale alle Banche regionali) hanno non solo 'rimesso' ai Paesi più poveri il debito che questi ave¬vano nei loro confronti, ma anche quello con terzi, pure privati. Una vera sanatoria di massa, l’altra fac¬cia del ripudio di massa.

Perché ricordarsene in questi gior¬ni? Non soltanto l’Islanda ha detto ai suoi creditori (grandi e piccoli, pubblici e privati) un «Non ti pago!» più eloquente di quello della com¬media di Eduardo De Filippo. Ma le vicende del debito greco non so¬no terminate e hanno molto in co¬mune con il ripudio, ingoiato, a ma¬lincuore, dai creditori. Il 9 maggio 2010 si pensava di aver risolto il pro¬blema con una toppa. L’ultimo ac¬cordo (quello di metà febbraio, an¬cora non attuato) prevede uno swap tra obbligazioni garantite u¬nicamente dal governo greco e titoli con un supporto multilaterale: i so¬ci dell’Intenational Institute of Fi¬nance (grandi banche che deten¬gono la metà del debito greco, sti-mato in circa 350 miliardi di euro) perderebbero il 70% del valore no¬minale, ma ne recupererebbero il 20%, se e quando l’economia elle¬nica andrà bene. Chi non sotto¬scrive l’accordo, ne trarrà vantag¬gio: piccoli creditori e hedge funds.

Alcuni hanno comprato titoli greci a prezzi stracciati (mediamente il 30% del valore facciale, in certi ca¬si pure il 15%) con la prospettiva di guadagni considerevoli in caso di accordo con le grandi banche ¬quando, si stima, il valore di mer¬cato si situerebbe sul 50-60% di quello nominale. Anche tenendo conto di questi effetti, i creditori della Grecia subiranno in media u¬na perdita del 75%. Si sarebbe potuto aspettare un «sa¬crificio » minore da parte dei credi¬tori? Non proprio. Con la piazza in fiamme e un programma di auste¬rità che, secondo economisti mo¬derati come Jean-Paul Fitoussy, mi-naccia di avvitare Atene in un sem¬pre maggiore impoverimento (tale da mettere a repentaglio non solo l’attuale Governo, ma anche i suc¬cessivi), si è preferito mascherare un sostanziale ripudio (il primo di queste dimensioni in un Paese Ue) piuttosto che fronteggiare guai peg¬giori (uscita della Grecia dall’euro, frantumazione dell’eurozona e del¬la stessa Ue). Si è creato, però, il pre¬cedente; altri Stati dell’unione mo¬netaria, nel caso, possono chiede¬re (e ottenere) un trattamento ana¬logo. Davide non è più forte di Go¬lia, ma ha una migliore mira.

Quale conclusione? Nel diritto in¬ternazionale non esiste quel «giu¬dice a Berlino» che autorizza il ri-pudio di crediti «leonini», vessato¬ri nei confronti dei debitori, ma si è sviluppata una lex mercatoria (nor¬mativa commerciale e finanziaria) internazionale che, riallacciandoci a quelle del lontano passato, con¬templa il «Non ti Pago!» quando le implicazioni economiche e sociali del debito sono eccessive.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Dalla fine degli anni Ottanta, si è sviluppata una normativa internazionale che prevede una «sanatoria» di quei debiti troppo elevati o insostenibili

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