sabato 17 marzo 2012

Democrazia limitata da Boris Godunov a Vladimir Putin in Il Rifornista del 18 marzo

Prima pagina
Democrazia limitata
da Boris Godunov
a Vladimir Putin

di Giuseppe Pennisi
C’è un nesso tra gli avvenimenti in Russia e l’edizione a Palermo del “Boris”, la vicenda dello zar usurpatore basata, sia sulla “tragedia” di Puškin sia sulla “Storia dello Stato Russo” di Karamzin.

Nella foto: Vladimir Putin

Vladimir Putin torna al Cremlino, il 9 marzo l’Istituto Studi di Politica Internazionale (Ispi) ha diramato un dossier sulla Russia a democrazia limitata. E a Palermo va in scena dal 23 al 30 marzo Boris Godunov di Modest Mussorgskij, assente da 25 anni dai palcoscenici della città. Il lavoro è un imponente affresco corale di forte impatto scenico e rilevante impegno produttivo, con un protagonista assoluto come Ferruccio Furlanetto, in un ruolo che ha anche interpretato nel tempio della musica russa, il Teatro Mariinsky di San Pietroburgo. L’allestimento è realizzato in coproduzione con il Teatro Municipal de Santiago del Cile e firmato dal regista, scenografo e costumista Hugo de Ana, da anni di casa in Italia.
La coincidenza è casuale ma c’è un nesso tra l’edizione del Boris a Palermo e gli avvenimenti in Russia. Modest Mussorgskij mise a punto almeno due versioni del testo e della musica del Boris - basate, in parte, sulla “tragedia” in 24 scene di Aleksandr Puškin (scritta nel 1825, ma, dopo notevoli difficoltà con la censura zarista, allestita, con numerosi tagli, solo nel 1870) ed in parte sulla Storia dello Stato Russo di Nikolaj Karamzin (redatta nel 1816-29 e diventata un libro di testo nella Russia dei Romanov).

Puškin e Karamzin vedevano la vicenda di Boris (assurto al potere alla fine del Cinquecento in una terra sterminata ma dilaniata da lotte profonde) con occhiali molto differenti. Puškin guardava a Shakespeare, alla tragedia del potere costruito sul delitto (come in Macbeth e Riccardo III). Per Karamzin la vicenda dello zar usurpatore era solo un episodio nel processo che avrebbe portato alla pacificazione ed alla unità di “tutte le Russie” grazie ai Romanov.
Oppure, per utilizzare il lessico di Sergei Krusciov, stabilizzato una “democrazia limitata” come quella di Putin. Si mette in scena il tentativo di creare (utilizzando pure l’infanticidio) l’unità politica della Russia. Il tentativo fallisce quando un giovane monaco (Grigorij) si rivolta contro lo zar usurpatore (per l’appunto Godunov), proclama di essere lui stesso in persona l’erede al trono sparito in circostanze misteriose (Dimitrij), utilizza la propria avvenenza per conquistare la principessa alla guida della dieta polacca (o essere da lei sedotto) e, con l’aiuto dei gesuiti desiderosi di “cattolicizzare” la Russia, forma un’armata di insorti, di polacchi ed anche di lituani per marciare contro Mosca. Nella versione definitiva del 1874, il protagonista è presente in solo tre quadri su dieci e nella scena finale, armate si susseguono ad armate per dare inizio ad una guerra millenaria.
A rendere tutto più complicato, c’è il nodo dell’orchestrazione giudicata rozza anche dagli amici più cari (come Rimskij-Korsakov) poiché Mussorgskij (auto-didatta in quanto costretto a guadagnarsi il pane da burocrate) non la avrebbe sufficientemente curata.
In aggiunta, Mussorgskij aveva l’abitudine di orchestrare le singole scene delle varie versioni mantenendo inalterata la scrittura a penna delle parti vocali. Sino a tempi recenti si rappresentavano edizioni che non corrispondevano a nessuna delle edizioni curate da Mussorgskij; sino alla fine degli Anni Sessanta veniva eseguita l’edizione “lunga” orchestrata da Rimskij-Korsakov e, più di recente, quella curata da Šostakovi.
Le differenze sono profonde: ottocentesca ma elegante come un arazzo seicentesco la prima, possente ed interamente novecentesca la seconda. Nel 1928 venne predisposta un’edizione critica di Pavel Lamm e Boris Asaf’ev. Mentre in Russia ed in numerosi Paesi dell’Europa orientale, si ascoltava la versione Lamm - Asaf’ev (in particolare sino all’esecuzione scenica della versione di Šostakovi nel 1953; da allora sono state presentate quasi indifferentemente), in Europa occidentale e negli Usa si seguiva quella raffinata di Rimskij-Korsakov e talvolta quella di Šostakovi.

Nel 1975, infine, è stata pubblicata, in Gran Bretagna, una nuova edizione critica a cura di David Lloyd-Jones; viene rappresentata regolarmente al Metropolitan di New York dal 1976 e mostra la potenza dell’orchestrazione originale. A Palermo si ascolterà proprio questa versione, una rarità poiché sino ad ora è stata presentata, per poche sere, unicamente a Firenze e a Venezia (interpolate con le altre versioni)
.
Non è una questione di lana caprina per una conventicola di musicologi. Ha profonde implicazioni politiche. I rapporti di Mosca sia con le varie Repubbliche della Federazione Russa sia con i suoi vicini del mondo slavo sia con l’Occidente ci riportano a situazioni di fine Ottocento-inizio Novecento ed anche ad avvenimenti in vario modo trattati nei due “drammi popolari in musica” di Mussorgskij (oltre a Boris, l’incompiuto Kovancina).
Boris si basa su due delitti politici: il primo per assicurarsi la successione al posto del legittimo erede ed il secondo per assumere l’identità dell’ucciso e diventare, a propria volta, un usurpatore. Tanto il primo quanto il secondo hanno obiettivi che superano il particolarismo: Boris intende unificare la Russia (tentando così di portare a termine l’opera del suo predecessore, e padre dell’erede al trono da lui fatto uccidere, Ivan il Terribile); il falso Dimitrij vuole avvicinare la Russia all’Occidente e per questo motivo si allea non solo con i boiardi insoddisfatti del troppo potere di Boris, ma anche con i polacchi e con i lituani in un disegno costruito con il supporto dei gesuiti. Fallisce Boris ed è destinato al fallimento, dopo pochi anni sul trono, anche il falso Dimitrij. Sino all’avvento di una “pacificazione” e “normalizzazione” da parte dei Romanov, che della modernità occidentale seppero cogliere solo gli aspetti più superficiali tanto da essere loro stessi travolti da Lenin. Per giungere alla “democrazia limitata”.

Sorge un interrogativo: quanto è superficiale l’occidentalizzazione di Vladimir Putin? Karl Wittfogel (Il dispotismo orientale, SugarCo 1980) sottolineò come il dispotismo sia connaturato ad una megamacchina in cui sono saldati il monopolio della violenza, il monopolio della produzione materiale ed il monopolio della produzione spirituale.
Luciano Pellicani (La genesi della modernità, Marco Editore, 2006) dimostra come la megamacchina viene messa in crisi dalla rottura di questi monopoli, in particolare di quello della produzione materiale (tramite il mercato) e di quello della produzione spirituale (tramite la libertà religiosa). Pellicani è un laico non credente.
Torniamo all’edizione critica di David Lloyd-Jones e alla edizione di Dmitrij Šostakovi. La prima è un’orchestrazione ruvida ma di un uomo di Fede: Mussorgskij era un ortodosso con punte di misticismo visionario. Il suo lavoro termina con una speranza di riscatto e per l’assassino-usurpatore e per la Russia. Dmitrij Šostakovi era un materialista ateo: le parole e le note sono le stesse, ma – nota uno dei maggiori specialisti di musica slava, Franco Pulcini – il suo «affresco storico diviene terribile, funereo, plumbeo» l’autoritratto quasi di un uomo «cupo e disperato».

Dal confronto delle due orchestrazioni si apre una chiave di lettura. La via della modernizzazione perseguita da Putin si articola sul mantenimento dell’unità nazionale e sull’apertura al mercato (a gruppi oligarchici di potere) ma manca ciò che Pellicani chiama la libertà della “produzione spirituale”. Senza di essa, non si arriva alla modernità.

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