venerdì 30 marzo 2012

IL RISVEGLIO DEL MAGGIOR EDITORE EUROPEO: LEZIONI PER L'ITALIA da Il Velino del 30 Marzo

IL RISVEGLIO DEL MAGGIOR EDITORE EUROPEO: LEZIONI PER L'ITALIA
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Roma - In una fase in cui dal mondo dei “media” arrivano solamente cattive notizie – la decisione di iniziare la procedura di liquidazione de il Riformista minaccia di essere l’anteprima della chiusura di molte altre testate - arriva una buona notizia dal maggiore editore europeo. E nessun giornale italiano pare accorgersene e cogliere il significato. L’editore tedesco Bertelsmann – guidato dal quarantacinquenne Thomas Thomas Rabe, lussemburghese di nascita ma che parla ugualmente bene il tedesco, l’inglese, il francese, l’olandese e lo spagnolo – sta cambiando pelle: da azienda grande ma strettamente controllata dalla famiglia Mohn nella piccola città di Gütersloh (meno di 100.000 abitanti nella Renania Occidentale - sta diventando una multinazionale e prevede di aumentare il proprio capitale sociale anche tramite offerte pubbliche di acquisto di quote azionarie. L’aumento di capitale non ha l’obiettivo di tappare falle di bilancio: nel 2011 l’azienda ha riportato 1,75 miliardi di euro di utili operativi, con appena una leggera diminuzione rispetto all’1,83 miliardi registrati nel 2010. Ma quello di varare un vasto programma di espansione – tutto nell’editoria- verso i nuovi mercati, specialmente quelli dell’Asia ed il Brasile.


La Bertelsmann – come è noto – possiede una della maggiori reti televisive europee, la RTL, che opera in Germania, Francia, Olanda ed altri Paesi; anni fa voci di un suo eventuale sbarco in Italia fecero tremare editori del settore. La RTL e la FreemantleMedia (un produttore di “reality”) sono macchine per utili. Mentre altri rami della complicata struttura aziendale - ad esempio la casa editrice Random House – danno prestigio ed autorevolezza ma hanno difficoltà a chiudere in pareggio. La Berstelsmann è anche, tramite la Gruner & Jahr, il maggior editore europeo di periodici, nonché editore dell’edizione tedesca del “Financial Times” Ed opera alla grande nel settore dell’informazione Internet. Si sa ancora poca dei programmi di espansione in corso di messa a punto. È stato annunciato che verranno presentati in autunno in parallelo con l’aumento di capitale e con una nuova organizzazione aziendale. È dato di sapere, tuttavia, che l’obiettivo è di potenziare la presenza in India, Cina e Brasile (che oggi rappresentano il 10% dei ricavi) e i servizi d’informazione telematica (oggi pari al 2% solamente degli utili). L’espansione è, quindi, rivolta specialmente al mercato internazionale e riguarda non solo televisione e internet ma anche l’editoria cartacea (i periodici e forse anche partecipazioni a quotidiani).


Questi i dati essenziali. Si collocano in un contesto in cui alcuni dei maggiori editori tedeschi di quotidiani – come Axel Springer – macinano utili (nonostante la crisi economica e gli alti costi della carta). Lezioni per l’Italia. Troppo ovvio notare come l’editoria tedesca non solo non è polverizzata come quella italiana ma si compone di molti quotidiani popolari e pochi quotidiani di qualità, tutti con forti basi locali. E più interessante sottolineare il processo di internazionalizzazione verso mercati dove c’è una forte domanda di informazioni anche tramite stampa tradizionale cartacea. Ciò richiede giornalisti addestrati all’uopo ed in grado di lavorare in più lingue. Quando nel lontano 1968 terminai i miei studi a Johns Hopkins, un caro amico americano voleva fare il giornalista; dopo avere lavorato a “Stars and Stripes” (il giornale delle forze armate Usa) fece domanda per entrare al “Washington Post” (dove fece tutta la sua carriere professionale e a 35 anni ebbe il Premio Pulitzer). I requisiti minimi per partecipare alla selezione richiedevano una laurea specialistica e la conoscenza, oltre all’inglese, di altre due lingue di cui almeno una a livello operativo. Phil McCombs (questo il nome del mio compagno di studi) aveva studiato un anno a Digione , incontrato là la futura moglie ed il francese era (anche negli Usa) la sua lingua tra le pareti domestiche. In Italia, molti giornalisti si oppongono a che la laurea sia un requisito per entrare nella professione e sono rare le scuole di giornalismo dove si imparano bene le lingue. La professione si condanna con le sue proprie mani al declino. (ilVelino/AGV)
(Giuseppe Pennisi) 30 Marzo 2012 16:43

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