NELLA MACERATA DI MATTEO RICCI UN FESTIVAL “A MAGGIOR GLORIA”. CON I DUBBI DEI MODERNI
Giuseppe Pennisi
Il tema del Festival in corso a Macerata sino al 10 agosto è: “Nella maggior Gloria di Dio”. Il nesso immediato è il collegamento con le celebrazioni per i 400 anni dalla morte di Matteo Ricci, il gesuita che diventò consigliere influente alla Corte Imperiale di Pechino. C’è un legame più profondo tra i lavori scelti (e come sono presentati) ed i dubbi che più travagliano la società di oggi. I lavori scelti spaziano da Monteverdi (“Il Vespro della Beata Vergine) a Vivaldi (“Juditha Triumphans”) a Gounod (“Faust”) e Verdi (una trilogia composta da “I Lombardi alla Prima Crociata”, “Attila”, e “La Forza del Destino”). Vengono presentati essenzialmente i due luoghi scenici (l’Arena Sferisterio ed il Teatro Lauro Rossi), nonché (per “Il Vespro”) in costumi e strumenti d’epoca nell’auditorium San Paolo. Al Teatro Lauro Rossi (un gioiello per 400 posti disegnato dai Fratelli Bibiena), regie, scene e costumi sono affidate a Massimo Gasparon. Nella vasta arena di 3000 posti ed all’auditorium San Paolo a Pier Luigi Pizzi. Per ragioni d’ economia e di unità stilistica, in ciascun luogo c’il medesimo impianto scenico ed (in buona misura) gli stessi costumi – un esempio che, in tempi come questi, altri teatri dovrebbero seguire.
Ma a quale “maggior Gloria” ci si riferisce e quali i rapporti tra il Seicento di Monteverdi e di Vivaldi (sacerdoti molto addentro nelle vicende del mondo – sia sopra sia sotto le lenzuola) e l’Ottocento del bigotto Gounod e dell’ateo dubbioso Verdi con i problemi di oggi? Innanzitutto – rileva correttamente Massimo Cacciari- il Vecchio ed il Nuovo Testamento presentano due differenti visioni della “maggior Gloria”: nel Vecchio un’onnipotenza che si manifesta con una luce accecante, nel Nuovo la massima umiliazione, ma anche massima esaltazione e pietà (la Croce). E’ a questa seconda interpretazione che si rivolgono i sei lavori nelle loro esecuzioni al Festival, affrontando quattro problemi cruciali della società d’oggi.
Il primo è il significato della politica come progetto di dove indirizzare la società. Ne “I Lombardi”, lo ha chiaramente Arvino, ma lo contrastano le macchinazioni di Pagano. In “Attila” , è (curiosamente) il Capo degli Unni ad avere una visione di modernizzazione, bloccata dagli intrighi di Ezio, dai particolarismi di Foresto e dai risentimenti di Odabella (che pur aspira a finire nel letto dell’unno). In “Juditha”, Oloferne viene trattato con una simpatia inattesa che fa sorgere il dubbio se il politico lungimirante sia lui o i suoi avversari (Giuditta inclusa). Dubbio analogo è in “Faust”: è lo scienziato che ha sottoscritto un patto con il Diavolo oppure Mefistofele a meglio comprendere che indirizzo dare alla società? Netto, invece, il “Vespro” (anche lì si parla di politica): il Salmo “Nisi Dominus” a 10 voci è limpido in quanto avverte che una rotta decisa supera le onde. Ne “La Forza”, il politichese polveroso dei “grandi” ed il loro “Viva la Guerra” travolge i destini dei tre ventenni protagonisti .
Il secondo riguarda le relazioni tra etnie differenti. Uno dei primi numeri de “Il Vespro” è Nigra sum sed formosa (Sono di pelle nera ma bella) dell’amore tra Re Salomone e la Regina di Saba. La bianca Giuditta decapita il nero Oloferne pur se ne è sessualmente attratta . Analogo il rapporto tra Odabella, figlia del Signore di Aquileia, e Attila. I “Lombardi” hanno al loro centro l’ amore tra una cristiana ed un mussulmano. E la molla che scatena la faida ne “La Forza” risiede nel fatto uno dei tre ragazzi è un “mulatto”. Faust è un estraneo al mondo di Margherita.
Il terzo è il rapporto tra eros e conoscenza-tema (chi lo ricorda?) trattato magistralmente in un film di Bergman del 1961 (“Come in uno specchio”) basato sulla prima lettera di Paolo di Tarso ai Corinzi. L’eros (da distinguere dalla libidine) porta alla conoscenza della “maggior Gloria”. Ne “Il Vespro”, lo evoca il duetto Pulchra es .In “La Forza”, l’eros conduce Leonora alla grandiosa aria con coro La Vergine degli Angeli al termine del secondo atto. In “Juditha” ed “Attila”, l’eros porta a comprendere l’avversario e le sue ragioni. In “Faust”, l’eros è la molla con cui conoscenza si salda con salvezza sia per “il dottore” sia per Margherita.
Ultimo immenso tema è la trascendenza. Il “Faust” di un Gounod (tormentato per tutta la vita dal non essere stato in grado di intraprendere l’agognata vita sacerdotale) è un ateo peccatore e, peggio ancora, un positivista; non si converte mai pienamente , ma acquista il senso della trascendenza. In “Forza” due dei tre giovani vengono salvati dalla comprensione della trascendenza. In “Attila” e “Juditha”, il barbaro afferra la trascendenza meglio dei suoi clericali avversari. La trascendenza redime Pagano ne “I Lombardi” e lo fa guidare i suoi conterranei alle porte di Gerusalemme. E’ una trascendenza a cui si giunge tramite il dubbio (che non viene mai superato a pieno tranne che nel “Magnificat” con cui Monteverdi, esperto di politica e di letti, chiude “Il Vespro”).
In breve, un Festival non solo per sentire buona musica (ne tratto nel quotidiano britannico Music & Vision) ma per meglio riflettere sul nostro mondo e sui noi stessi.
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