ECO - Cina e Giappone, capire il sorpasso
Roma, 18 ago (Il Velino) - La stampa ferragostana, tanto quella italiana quanto quella straniera, ha dato molto rilievo al sorpasso della Cina, rispetto al Giappone, in termini di Pil. Era notizia vecchia e scontata. Già nel 1998, ad esempio, Jeffrey Williamson lo aveva anticipato in un saggio intitolato “Transizione demografica e miracoli economici nell’Asia emergente” e pubblicato 12 anni fa dalla Banca mondiale. La crescita della popolazione attiva, e quindi della forza lavoro, è infatti una delle determinati principali del motore del Pil. In Cina, nonostante le misure drastiche per limitare le nascita ad un figlio per famiglia, la popolazione cresce dello 0,6 per cento l’anno ma sta toccando un miliardo e mezzo di persone. La Cina si è svegliata con le “quattro liberalizzazioni” della seconda metà degli Anni Ottanta. Anche se - amava ricordare il maggior esperto al mondo di queste materie, il compianto Angus Maddison - la contabilità economica nazionale cinese è sospetta, la crescita del Pil del 10,3 per cento negli ultimi 12 mesi (dopo che, nel triennio della crisi mondiale era diminuita dal 9,9 per cento all’8,7 per cento l’anno) suggerisce che il nuovo Impero sta galoppando e con i suoi 1,3 miliardi di persone arriverà tra due-tre anni ad un Pil analogo a quello degli Stati Uniti. La produttività che in Europa ristagna (ed in Italia diminuisce) è cresciuta, secondo i dati ufficiali cinesi, del 17 per cento l’anno dal 1995 al 2002 e da allora ad un più modesto 8,7 per cento l’anno. Un miracolo economico che ha ancora una volta al suo centro l’avere reso, con una politica di liberalizzazioni (densa di iniquità), centinaia di milioni di lavoratori in precedenza non produttivi. All’inizio degli Anni Settanta, l’allora ministro degli Esteri francese Alain Peyrefitte pubblicò un voluminoso saggio prendendo come titolo una frase di Napoleone Bonaparte “Quand la Chine s’évelliera, le monde tremblerà” (“Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà).
La galoppata continuerà? Gli esempi storici indicano che gli effetti di aver produttive risorse umane in precedenza non produttive si esauriscono in una o al massimo due generazioni. La Cina, poi, è disperatamente priva di risorse naturali (in primo luogo di acqua), ha una lingua scritta (che una minoranza decifra) ma ha almeno quattro famiglie di lingue parlate, ed una politica demografica il cui esito è che ci sono almeno 100 milioni di giovani uomini in età riproduttiva in più delle coetanee di genere femminile. Nessuno sa quante guerre e guerriglie sono in corso e quale è stato il destino degli 80 milioni di disoccupati nel settore industriali “rilocati” in campagna nel 2008-2009.
Previsto anche il rallentamento del Giappone, sin da un libro del 1972 di Ferenc Jannossy (La Fin des Miracles Economic) In un arcipelago di 130 milioni di persone (336 per chilometro quadrato, montagne ed acque comprese), la demografia è stata una delle cause del letargo di questi ultimi anni. Nel 1989, la popolazione giapponese con più di 65 anni alle spalle era il 12 per cento del totale; è diventata il 22 per cento nel 2007 e supererà il 25 per cento nel 2030. Nonostante i tentativi di favorire un “invecchiamento attivo”, ciò ha riflessi sulla spesa pubblica (e privata) per pensioni e sanità e comporta un ristagno della produttività.
L’altra causa principale ha a che vedere con la politica economica. Sia interna sia internazionale. Sotto il profilo interno, il “miracolo economico” giapponese, al pari di quello italiano e tedesco, si fondava su risorse umane non utilizzate o mal utilizzate negli delle guerra mondiale ed in quelli ad essa immediatamente precedente: questa risorsa è progressivamente venuta meno perché dagli Anni 80 il sistema d’istruzione e di formazione non si modernizza. L’altra leva era l’export, pure grazie ad un tasso di cambio volutamente sotto prezzato. Gli “accordi del Plaza” del 1985 hanno comportato un riallineamento dello yen e, quindi, smorzato e progressivamente eliminato questo motore della crescita nipponica.
Ciò spiega perché i cinesi si oppongono ad un “nuovo Plaza” che porti ad un aumento del valore internazionale dello yuan.
(Giuseppe Pennisi) 18 ago 2010 10:41
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