12 agosto 2010
Ad Aix vince il teatro in musica del giovane Oscar Strasnoy
Il Festival di Aix-en-Provence non solo è l’occasione per ascoltare buona musica e prendere il polso alla “Francia-che-può” ma anche e soprattutto di vedere le tendenze del teatro in musica nel prossimo futuro. Sarebbe più corretto parlare di Festivals al plurale poiché quello più noto di musica lirica e concerti (1-21 luglio quest’anno) ha luogo dopo un mese di prove aperte dell’Accadémie Européenne de Musique (Aem) (occasione per ascoltare nuove voci e nuove bacchette) in giugno ed è seguito da una rassegna di danza in agosto.
Il Festival è ampiamente supportato da “mecenati” dall’industria e dalla finanza internazionale – ci sono appositi club a New York e Londra: coprono oltre un terzo del costo (19 milioni di euro – a titolo di raffronto i Festival italiani per Rossini e Verdi costano 6 milioni di euro ciascuno) e hanno prelazione sui biglietti. Un altro terzo viene da amministrazioni pubbliche centrali e locali, il resto da biglietteria e marketing - un quinto dalla vendita di spettacoli ad altri teatri ed a case discografiche e televisive. Gran parte degli spettacoli sono co-produzioni che successivamente si possono vedere nei maggiori teatri d’Europa, Stati Uniti ed Asia. Uno di essi, “Il ritorno di Ulisse in Patria” di Monteverdi con regia di Ala Noble, direzione musicale di William Christie ed un cast di giovani dell’Aem , lanciato a Aix nel 2000 è stato visto in oltre 30 teatri (di cui 8 italiani) in una tournée che è durata circa sei anni.
Grande attesa per l’edizione di “Don Giovanni proposta da Dmitri Tcherniakov , astro nascente della regia lirica internazionale di cui alla Scala si sono ammirati Eugene Onieghin di Tchakovsky e Il Giocatore di Prokofiev.
Aix non affrontava il titolo dal 1998 quando venne curato da Peter Brook (regia) e dal team Abbado-Harding (direzione musicale); altro allestimento presentato in tutto il mondo (15 repliche nella sola Milano). Il lavoro mozartiano” è proposto ora in un ambiente alto borghese dove avviene un “gioco al massacro” tra champagne, caviale, whisky e sesso. Ottimo il gruppo di cantanti attori guidati da Bo Skovus (truccato come Marlon Brando ne L’ultimo tango a Parigi) ed eccellente la direzione musicale di Louis Langrée alla guida della Freiburger Barockorchester che utilizza strumenti musicale d’epoca. Don Giovanni è coprodotto, tra l’altro, dal Bolshoi di Mosca dove le scene sessualmente esplicite non potranno non suscitare polemiche.
Farà discutere anche la Tessaglia della “Alceste” di Gluck rappresentata da Christoff Loy (che ne penserà il tradizionalista pubblico della viennese Staatsoper che la coproduce ed intende metterla in repertorio?): da un lato, la Coppia Realtà che esalta l’amor coniugale e la paternità sino a voler morire l’una per l’altro; da un altro un Grande Sacerdote –Magistrato dal piglio vagamente sadico e truffaldino; da un altro ancora, il popolo in costume da bambini minorati che segue dal buco della serratura ciò che fanno i due protagonisti; ed infine il deus ex machina Ercole che, vestito da commesso viaggiatore, risolve felicemente la triste vicenda di amore e morte. Anche in questo caso a vivi contrasti sulla drammaturgia e regia hanno fatto riscontro calorosi applausi alla parte musicale (tanto ai due protagonisti Veronique Gens e Joseph Kaiser, quanto a Ivor Bolton alla guida della Barockorchester quanto al coro “English Voices”). Consensi generalizzati , invece, per il mondo fantastico creato da Robert Lepage e Kazusho Ono (una piscina di 70.000 litri d’acqua al posto della fossa d’orchestra, cantanti che dall’acqua muovono marionette vietnamite) per “Le Rossignol et Autres Fables” di Stravinsky dove si dimostra che, alla fine la verità (l’usignolo vero scovato da un povero pescatore ignorante) la vince sulla più complessa macchinazione (l’usignolo meccanico adulato dai cortigiani).
Il vero capolavoro rivelato dal Festival è una novità assoluta “Un Retour” del 40nne Oscar Strasnoy, lanciato in Italia una diecina di anni fa (con rappresentazioni di un suo lavoro per la scena al Caio Melisso di Spoleto ed all’Opera di Roma) ma poi dimenticato dal BelPaese: con sei strumenti e sette voci in una dozzina di ruoli ammonisce che il passato non si cambia. E’un lavoro poco “politically correct” sul ritorno in Patria, dopo trent’anni, di un argentino, fatto fuggire in Europa dalla famiglia al prospettarsi della dittatura militare: tutti i suoi amici di un tempo, anche la sua donna, lo scansano, lasciandolo tornare a Parigi (sua residenza da tre decenni) con il senso della più completa solitudine. Lo si allestisce a basso costo. Auguriamoci che giunga in Italia.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Giuseppe Pennisi
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento