GUERRA DEI DAZI
Giuseppe Pennisi
L’Amministrazione Obama ha inviato al Congresso un programma in 14 punti per rafforzare l’applicazione delle misure anti-dumping in vigore negli Stati Uniti e plasmate sui protocolli i conclusi in seno al Gatt (Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio) nel 1967 e aggiornati nel quadro all’Omc (Organizzazione mondiale dl commercio) che nel 1995 ha sostituito il Gatt. Tre dei 14 punti sono specificatamente dirette alla Cina. Gli altri – ha spiegato il Segretario al Commercio Gary Locke- a tutti i partner degli Usa e sono parte di una più vasta revisione in corso delle prassi amministrative per debellare il “dumping”. La notizia non viene di buon auspicio a Ginevra, dove, nel bel Parc Mon Repos (un nome molto eloquente) ha ora sede l’Ocm.
L’”anti-dumping” è tradizionalmente uno strumento utilizzato , dagli Stati Uniti (ma non solo da loro), come grimaldello per bloccare (o almeno rendere difficili) le importazioni di questo a quel prodotto da questo o quel Paese. Nel lontano 1965, il negoziato multilaterale sul commercio chiamato “Kennedy Round” (il più importante, per risultati effettivamente ottenuti, dalla fine della seconda guerra mondiale) è stato sbloccato quando la delegazione Usa propose “uno scambio politico”: da un lato, riduzione lineare del 50% dei dazi sui manufatti ed i semi-manufatti tra i Paesi industriali; da un altro, un “protocollo internazionale anti-dumping” che consentisse misure unilaterali contro i sospettati di prassi scorrette (il grande inquisito era il Giappone).
Può sorprendere che solo pochi giorni fa la Casa Bianca abbia annunciato, in un ottica libero-scambistica, di voler raddoppiare l’export degli Stati Uniti nell’arco di cinque anni. In effetti, non ci sono alternative: negli ultimi 12 mesi il disavanzo commerciale americano ha sfiorato i 600 miliardi dollari (circa il 5% del Pil), un profondo rosso che potrebbe portare al tracollo del dollaro.
Obama è solo apparentemente amletico in materia di commercio internazione. I principali finanziatori della sua campagna elettorale (il maggiore è stato il potente sindacato dell’auto) sono fortemente protezionisti. Il suo programma elettorale prevedeva addirittura la fine della Nafta (la zona di libero scambio nordamericana) . Non ha incoraggiato il negoziato multilaterale in corso all’Omc dal 2001, il Doha development agenda Dda; anzi, lo ha sabotato non riproponendo al Congresso una legge “fast track” – quella precedente non è più in vigore dal 2007- per dare alla ratifica di un eventuale accordo multilaterale una corsia preferenziale al riparo di emendamenti. Ha atteso sino allo scorso aprile per nominare un Rappresentante degli Stati Uniti all’Ocm (ed avere, quindi, un capo negoziatore al Dda) e la sua scelta, Micheal Punke (un professore associato dell’Università del Montana noto soprattutto in quanto autore di un romanzo di successo e di due sceneggiature in attesa di diventare film) è stata letta dallo stesso Presidente della Camera di Commercio degli Stati Uniti come un’indicazione di poco interesse nel Dda da parte della Casa Bianca.
Ove ciò non bastasse negli ultimi anni sono stati conclusi circa 200 accordi commerciali bilaterali o regionale. Ciò indebolisce l’Omc che si regge sui due pilastri della reciprocità e della non-discriminazione. Stati Uniti poco attenti al commercio internazionale sono una minaccia alla ripresa mondiale: nel 2009 il Pil mondiale ha subito una contrazione dell0 0,6% ma il commercio un tracollo del 12,2%. Ora il commercio sta crescendo ad un tasso del 10% l’anno nonostante misure protezionistiche adottate un po’ da per tutto l’anno scorso: Un quarto di queste misure – scrive la Banca Mondiale – vestono l’abito dell’”anti-dumping”.
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