COSI’ LA BCE HA SMESSO DI ESSERE UNA STAR PER GLI EUROPEI
Giuseppe Pennisi
Quando l’Ing. Jean-Claude Trichet andrà in pensioni (almeno tre, da banchiere centrale francese, da guida del Fondo monetario, e da Presidente della Banca centrale europea, Bce), il suo successore avrà un grattacapo in più: la perdita di fiducia dei cittadini dell’area dell’euro nei confronti della loro Banca centrale. Lo quantizza uno studio del Centre for European Policy Research , Ceps (Working Paper n.334) a cui due funzionari del servizio studio della Bce si apprestano, in parte a rispondere, con un lavoro in uscita nel prossimo numero dell’autorevole trimestrale The Manchester School.
Il lavoro Ceps è smentisce un’analisi precedente pubblicata dall’Università di Costanza nel 2008 e molto diffusa dai servizi di comunicazione Bce. Lo studio del 2008 riguarda il periodo 1999-2004, i 12 Stati del gruppo di testa dell’euro e si basa su 72 osservazioni econometriche. Erano gli anni dell’avvio della moneta unica; il lavoro concludeva che i cittadini dei 12 avevano grande fiducia nella Bce in quanto avrebbe azzerato l’inflazione. Più complesso l’apparato analitico del Ceps: i dati semestrali dell’Eurobarometro vengono integrati con quelli trimestrali della contabilità economica nazionale e con 272 osservazioni econometri che. Inoltre, il periodo studiato arriva alla fine del 2009, includendo anche la crisi finanziaria iniziata nel 2007. Le conclusioni: dal 2007 c’è stato un tracollo della fiducia nella Bce , che ha toccato il punto di svolta inferiore nel febbraio 2009 (da allora è in leggera ripresa); ci sono differenze marcate tra Paesi (nel febbraio 2009 due terzi dei francesi, ma “solo” il 40% degli italiani, non si fidavano della Bce); la ripresa (delle fiducia) in atto potrebbe rientrare al più piccolo fruscio. In breve, secondo lo studio Ceps, pure a ragione dell’euroentusiasmo del 1992-2004, gli europei hanno creduto la Bce avrebbe portato non solo bassa inflazione ma anche stabilità finanziaria. La bassa inflazione c’è stata, ma alla prima crisi internazionale, la Bce non ha dato l’attesa stabilità finanziaria. Lo ammette lo stesso lavoro in corso di pubblicazione sulla The Manchester School (a cui Il Foglio ha avuto accesso): con un complesso impiego del calcolo delle probabilità, sostiene che ciò non dipende dalla Bce ma dal ciclo economico. Un po’ come dire che la colpa è della malignità del fato, notoriamente cinico e baro.
Quale è l’elemento che più ha deluso gli europei? Le osservazioni econometriche del Ceps sfiorano la materia, ma basta scorrere la stampa del Paese (la Francia) dove la reputazione della Banca ha sofferto di più per avvertire che dal 2007, l’Eurotower di Francoforte è parsa, a torto od a ragione, utilizzare la mano forte con i deboli (insistendo per riforme che toccano i portafogli dei ceti a reddito medio-basso) e guanti di velluto con i forti (incoraggiando , direttamente ed indirettamente, salvataggi bancari pure di istituti mal gestiti da amministratori con stipendi di favola). E’ forse un’impressione poco generosa nei confronti di chi ha il compito di gestire la politica monetaria dell’area dell’euro in una fase di grandi tensioni. Le impressioni contano , proprio in questo campo, molto più della realtà.
Il dibattito innestato dal Ceps è salutare: in democrazia economica non devono esistere santuari, neanche dove si è presa l’abitudine di inginocchiarsi e leggere in coro novene alla fine di Maggio. E’ da augurarsi che si torni presto alle processioni del mese mariano non a quelle a Palazzo Koch.
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