- Opera,
Roma, 15 lug (Il Velino) - “Un Retour” di Oscar Strasnoy, dal romanzo di Alberto Manguel (autore anche del libretto), è il vero trionfatore del Festival d’Aix en Provence 2010. Acclamata dalla critica internazionale, ciascuna delle otto repliche è stata accolta da ovazioni da parte di un pubblico giovane che ha esaurito ogni ordine di posto. Occorre ricordare che il franco-argentino Strasnoy, 40 anni appena compiuti, è stato lanciato dieci anni fa in Italia quando vinse il premio Orpheus (la giuria era presieduta da Luciano Berio) e la sua opera “Midea Dos” venne messa in scena nell’autunno 2000 al Teatro Caio Melisso di Spoleto e nell’inverno 2001 al Teatro dell’Opera di Roma. Strasnoy viene da una di quelle famiglie ebree che si rifugiarono in Argentina, ma la sua cultura musicale è essenzialmente franco-italiana. E’ stato anche uno dei borsisti dell’Accademia di Francia a Villa Medici. Vive tra Berlino e Parigi. Una delle sue opere (“Le Bal”) ha avuto un successo tale ad Amburgo nel 2009 da essere entrata “in repertorio” e varie repliche sono previste nel calendario 2011. Strasnoy parla perfettamente italiano e riconosce che la sua fama internazionale è partita proprio dal nostro Paese. Purtroppo dal 2001, nessun sovrintendente o direttore artistico si è più ricordato di lui, mentre nei nostri teatri si vedono tanti spettacolo di dubbio gusto, pagati da Pantalone nonostante si rappresentino a platea e palchi quasi privi di pubblico pagante. E’ una triste realtà di cui si devono interessare il ministero dei Beni culturali e le fondazioni lirico-sinfoniche tra una protesta e l’altre delle corporazioni che nei loro corridoi fanno il bello e cattivo tempo.
“Un Retour” è un’opera da camera di circa un’ora (13 veloci scene), preceduta ad Aix da una passeggiata “artistica” in un parco a dieci km dalle città, con tre “momenti” artistici (una danza moderna, tre madrigali, una lettura da Virgilio) in tre luoghi diversi della proprietà, nonché da un pic-nic sul prato prima di entrare in un teatro costruito nel cortile di un maniero. L’opera tratta del tema dell’esilio e del ritorno. Dopo 30 anni, un uomo ritorna nel paese (presumibilmente l’Argentina) da dove i suoi genitori lo hanno fatto fuggire perché coinvolto in moti studenteschi mentre una dittatura militare si affacciava all’orizzonte. In breve un tema analogo a quello di “Estaba La Madre” di Louis Bacalov che l’Opera di Roma ha messo in scena già due volte, trattato, però, sotto il profilo psicologico-filosofico, non politico. Nestor Fabris rientra per una visita di pochi giorni (un’occasione di famiglia, le nozze del figlioccio nato, decenni prima, alla donna da lui amata da studente) ma i suoi amici di un tempo e il suo stesso professore lo sfuggono: il passato non si cambia. E’ costretto all’esilio permanente perché così scelse tre decenni prima. Nel testo, quindi, c’è profumo,oltre che di Virgilio e di Omero, di Albert Camus e di Vintilia Horia, non di saggi di sociologia politica. Ciascuno canta nella propria lingua: l’esule il francese, gli altri lo spagnolo.
Il protagonista è un baritono (Job Tomè). La donna da lui amata un mezzo –soprano (Amaya Domìnguez). Cinque vocalisti dell’Ensmble Musicatreize (Céline Boucard, Marieke Schellenberger, Xavier de Lingerolles, Patrice Balter, Jean-Manuel Candenot) danno corpo e voce all’altra dozzina di personaggi. La scena (Thierry Thieu Niang, Eric Soyer), perfettamente integrata nel cortile del maniero, dà un forte senso di claustrofobia (quella dell’esule) per rappresentando l’aeroporto e i boulevard di una grande città (Buenos Aires) ed un villaggio di campagna. L’organico orchestrale comprende due piani, due batterie a percussione, una tromba ed un trombone. Mentre “Midea Dos” pare dodecafonica e privilegiava le tonalità alte, anzi altissime (Creonte era un controtenore), la scrittura orchestrale di “Un Retour” è diatonica e fortemente ritmica (con tempi incalzanti che tengono l’attenzione serrata). Anche le voci tendono alle tonalità gravi (i protagonisti sono un baritono, un mezzo ed un basso). Il declamato scivola in ariosi, non in arie vere e propria (“Midea Dos” aveva anche un’aria di coloratura). Quindi, una tinta musicale scura e sobria. Vale una scommessa per portarlo a Roma.
(Hans Sachs) 15 lug 2010 17:11
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