IL MANAGER VUOLE IL SINDACATO ALL’AMERICANA
Giuseppe Pennisi
E’ importante comprendere il sottostante delle varie trattative che su numerosi tavoli si stanno svolgendo in questi giorni tra “nuova” Fiat Auto (chiamiamola “Fabbrica Italia” , secondo la prassi del gergo giornalistico), da un lato, e le confederazioni sindacali, la Federmeccanica e la stessa Confindustria, dall’altro. Un gioco su più tavoli – ci insegna John Nash (vi ricordate il film “A Beautiful Mind”?) tende ad avere equilibri instabili, specialmente se su ciascun tavolo gli obiettivi dei giocatori sono differenti da quelli che hanno negli altri tavoli. Come nella vicenda che si sta dipanando. Ciò vuol dire che il risultato definitivo non sarà immediato e che, per delinearlo, è essenziale conoscere cosa si propongono i maggiori attori.
Iniziamo dal principale- l’Amministratore Delegato della “Fabbrica Italia”, Sergio Marchionne- e dal tema più incandescente- le relazioni industriali. Le deroghe al contratto nazionale di lavoro ai metalmeccanici vogliono dire molto di più di quanto non appaia a prima vista. Non sono ritocchi da effettuarsi poco a poco (sono necessari, comunque, due anni per ristrutturare gli impianti di Pomigliano). Sono il grimaldello per andare verso un sistema di relazioni industriali molto differente da quello tipico dell’Europa occidentale e molto più simile a quello in atto in Nord America. In Europa Occidentale, i sindacati “di comparto” (ad es., chimica, meltameccanica, edilizia) sono parte di confederazioni nazionali che inseriscono, a volte con differenze di ottiche, gli interessi legittimi di singole categorie in quelli più vasti di tutti i lavoratori. Due film di successo mostrano in modo vivido la differenza: “Gran Torino” di Clean Eastwood del 2009 e “I Compagni” di Mario Monicelli del lontano 1963 (ancora spesso in TV). Nel primo, l’operaio si identifica con l’azienda e con i suoi prodotti di maggior prestigio (nel caso specifico la Gran Torino Ford del 1972) e con il sindacato di comparto (l’United Auto Workers, Uaw), il quale punta essenzialmente al benessere ed allo sviluppo dei propri iscritti. Nel secondo, il protagonista scende in campo in uno dei primi scioperi della Torino del Novecento guardando non solo alla sua fabbrica e del suo comparto ma all’insieme del ceto operaio.
Per Marchionne, le relazioni industriali più efficaci sono quelle in cui grande industria e grande sindacati si risolvono tra loro i loro problemi in quanto il bene del resto del Paese ne sarebbe un sicuro effetto esterno positivo. In questo contesto, è anche utile che il sindacato sia forte; l’Uaw americana – è noto – ha tali risorse da essere stata il principale singolo finanziatore della campagna elettorale di Barack Obama. E’ una concezione differente, ove non antitetica, rispetto a quella in cui le relazioni industriali ed il sindacalismo si sono sviluppati in Europa. E’ da vedersi se e come “il modello americano” del canadese può essere trapiantato nel Vecchio Continente. Si può innescarlo in quello esistente, dando maggior spazio alla contrattazione decentrata sotto il profilo normativo non solo economico-salariale. Poco si è fatto in materia dall’”accordo di San Tommaso” del luglio 1993. Un impulso sarebbe utile. Un ribaltamento di concezioni radicate porterebbe ad un “muro contro muro”.
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