domenica 25 luglio 2010

NEL MONDO GLOBALIZZATO IL NODO E’ IL COSTO DEL LAVORO Avvenire 25 luglio

NEL MONDO GLOBALIZZATO IL NODO E’ IL COSTO DEL LAVORO
Giuseppe Pennisi
Il “caso Fiat” – i nodi di Pomigliano d’Arco e Termini Imerese, prima, e la proposta, poi, di de-localizzare la produzione della monovolume “Zero” da Mirafiori ad impianti in Serbia – è un’indicazione concreta, tra le tante, di come siano cambiate le strutture e le politiche economiche negli ultimi cinquant’anni. Nel 1953, il Presidente e Amministratore Delegato della General Motors, Charles Edwin Wilson, pronunciava di fronte ad una Commissione del Senato Usa la frase : What is good for GM, it is good for the Usa (“Quel che è bene per la GM, è bene per gli Stati Uniti). Allora la GM era il maggiore datore di lavoro al mondo. (er circa un secolo, c’è stato un considerevole grado di convergenza tra gli interessi della FIAT e quelli della società italiana (in gergo, gli economisti parlerebbero di funzione di benessere sociale) . La FIAT è stato il motore dell’industrializzazione del Paese, e per decenni, anche la punta tecnologica più avanzata. Dato che ciò era in linea con la trasformazione da economia agraria ad industriale a cui aspirava l’Italia, non solo la FIAT ha usufruito di generosi apporti dai contribuenti ma soprattutto la politica italiana è stata orientata verso il trasporto su gomma invece che verso su quello su rotaia. I contribuenti hanno pure supportato azioni specifiche dell’azienda per portare l’industrializzazione nel Mezzogiorno.
Gradualmente, a ragione del processo d’integrazione economica internazionale (chiamato, in gergo giornalistico, la globalizzazione) è cambiata la struttura e del mercato mondiale e dell’industria dell’auto. In un saggio di vent’anni fa, notavo che già allora, prima ancora cioè dell’accelerazione del processo d’integrazione dell’economia mondiale, una Ford Escort montata negli impianti di Halewood in Gran Bretagna o di Saarlius nella Repubblica Federale Tedesca conteneva parti prodotte nel Regno Unito, in Belgio, nei Paesi Bassi, in Svezia, Norvegia, Danimarca, Germania federale, Austria, Giappone, Italia, Spagna, Stati Uniti, Canada e Francia; alla fine degli Anni Novanta, un'automobile ad essa analoga conteneva in misura crescente parti prodotte nei Paesi di nuova industrializzazione dell'Estremo Oriente e del Bacino del Pacifico e nei Paesi in transizione dell'Europa Centrale ed Orientale. Con la telematica, che ha fortemente ridotto le distanze di tempo e di spazio, le differenze di costi del lavoro per unità di prodotto (Clup) hanno cominciato a mordere (sui conti aziendali) sempre di più. E gli obietti dell’impresa a divergere con la funzione di benessere sociale.
Come riavvicinarli? Non si può più ricorrere ai contribuenti: essi non hanno più sangue da versare. Lo vietano comunque le regole europee in materia di aiuti di Stato (non solo di riequilibrio di bilancio). La vecchia, e spesso dimenticata scuola di finanza pubblica dell’inizio del secolo scorso – si pensi ai lavori di Benvenuto Griziotti- dimostrano che a ciascun sussidio corrisponde una regolamentazione equivalente.
I saggi di Griziotti dovrebbero essere la stella polare al tavole del 28 luglio: con una regolamentazione che riduca il differenziale tra Clup, si può fare molta strada, come dimostrano le recenti vicende di Pomigliano. Sta ad azienda e sindacati farla. Il Governo non può che indicarla. Una via possibile consiste nel ridurre , entro certi margini, il Clup rendendo, con la collaborazione dei sindacati, più efficienti i metodi di lavoro ed il loro contenuto in termini di capitale umano e sociale. Naturalmente, nello sfondo di questa ed altre questioni di politica economica c’è il cuneo fiscal-contributivo italiano, significativamente più alto della media Ue e quindi molto più elevato di quello in Paesi che ancora non fanno parte dell’Unione.

Nessun commento: