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Roma, 22 lug (Il Velino) -
Venerdì 23 luglio vengono pubblicati i risultati dello stress test su 91 istituti di credito che le autorità europee considerano rappresentative per avere un quadro della situazione degli istituti di credito europei dopo la crisi iniziata nel luglio di tre anni fa e da cui speriamo di stare per uscire. E’ un’analisi importante che farà certamente discutere per diverse settimane. In primo luogo, molti esperti americani, e non pochi europei, affermano che stress test di questa natura sono poco appropriati per effettuare una buona diagnosi e trovare un’efficace terapia. In secondo luogo, numerosi Stati dell’Ue, ed in particolare dell’Eurozona punteranno il dito su qualcosa che, nel mondo bancario, è già nota: lo stato di grande difficoltà in cui versano le Landesbank (casse di risparmio dei singoli Laender) tedesche non tanto in quanto contagiate dai suprime Usa ma perché, al pari dei nostri banchi meridionali di un tempo, basate su un complesso intreccio tra finanza, impresa e politica locale. La polemica sulla Landesbank non potrà non aprire il capitolo degli aiuti di stato, non tanto alle imprese quanto alla finanza. E scatenare un putiferio sul fallimento non del mercato o del non mercato ma delle regole; a riguardo si raccomanda vivamente la lettura del volume di Jonathan Macey Corporate Governance – Quando le regole falliscono, appena pubblicato nella bella collana IBL Libri dell’Istituto Bruno Leoni. Il pericolo che si entri in discussioni di lana caprina tra barracuda esperti mentre si dovrebbe riflettere su due elementi: a) i servizi finanziari contribuiscono alla crescita economica meno di quanto comunemente si pensa (lo documenta il lavoro “The Future of Finance” pubblicato all’inizio di luglio dalla London School of Economics); b) ciò detto, lo stress test al credito potrebbe essere una utile misura approssimativa di un più vasto e più profondo stress test ad un’Eurozona sempre più asimmetrica in cui sta aumentando il divario tra la Germania (ed il “nucleo duro” che la circonda) ed il resto dell’area dell’euro. La Germania ha un tasso di crescita (il 2% l’anno) pari quasi al doppio della media dell’area dell’euro, un saggio d’aumento della produzione industriale che in maggio è stato del 12,4% (rispetto ai livelli segnati 12 mesi prima), un saldo attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti di 150 miliardi di euro nell’ultimo anno (ossia pari a 5% del Pil), circa 200 miliardi di export l’anno. In effetti sono le esportazioni a tirare la Repubblica Federale fuori dalla crisi. Ciò non è solo l’esito della capacità delle sue industrie manifatturiere nelle chimica, nell’elettronica, nella metalmeccanica? E' anche il risultato del fatto che negli ultimi dieci anni, nella Repubblica Federale, i salari medi reali non sono cresciuti, e negli ultimi tre anni sono diminuiti, mentre in molti altri Paesi dell’Eurozona sono aumentati. Lo documentano dati Ocse ed Ue nonché un recente studio della Banca centrale spagnola. Ciò vuol dire che il costo del lavoro per unità di prodotto è diminuito rispetto ad altri Paesi dell’area dell’euro. In altri termini, l’euro tedesco si è deprezzato e, di conseguenza, il “made in Germany” ha un vantaggio competitivo rispetto a gran parte dell’Eurozona. E’ questo tema di fondo che va sviscerato prendendo spunto dallo stress test – e da ciò che dirà sulle Landesbank.
(Giuseppe Pennisi) 22 lug 2010 20:28
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