sabato 1 maggio 2010

LIRICA SPENDACCIONA.SCIOPERI MALEDETTI BRUCIANO ARTE E BUSINESS Il Tempo 1 maggio

LIRICA SPENDACCIONA.SCIOPERI MALEDETTI BRUCIANO ARTE E BUSINESS
Giuseppe Pennisi
Il breve ritardo nella firma del Decreto Legge sulle fondazioni liriche ha consentito a Zubin Mehta di festeggiare il proprio compleanno all’Harris Bar di Firenze, con l’intera compagnia ed un numero selezionato di ospiti, dopo un inaugurazione in grande stile del 73esimo Maggio Musicale Fiorentino: circa venti minuti di applausi dopo quattro ore e mezzo di una splendida esecuzione de “La Donna Senz’Ombra”, capolavoro di Hugo von Hofmanmsthal e Richard Strauss raramente in scena in Italia per l’enorme impegno produttivo che comporta (circa 30 solisti, doppio coro, orchestra smisurata, “trasformazioni” a vista).
La festa è stata breve. Le maestranze del Teatro dell’Opera hanno già annunciato un sciopero. Quelle del Teatro Comunale di Bologna, l’occupazione dello stabile. E via discorrendo. Un’ondata di scioperi che rischia di allontanare il pubblico dalla lirica, come già avvenuto negli Anni Novanta. Scioperi condannati subito dal Ministroper i Beni Culturali, Sandro Bondi:”Gli scioperi proclamati dai sindacati con l’annullamento di molti spettacoli importanti, nonostante sia stato già fissato un incontro con le parti sociali, rivelano una mancanza di rispetto per il pubblico ed un atteggiamento irresponsabile”.
Cerchiamo di comprendere cosa c’è alla base dell’agitazione. In primo luogo, la legge Veltroni con la quale gli enti lirici e sinfonici nazionali sono stati trasformati in fondazioni di diritto privato non ha funzionato affatto: è poco gradevole citare se stessi, ma lo ho documentato con un saggio tecnico uscito sulla rivista “Musica” tre anni fa e le previsioni di un incrementale aggravio dei disavanzi si sono avverate. In effetti, poche fondazioni sono state in grado di attirare soci privati (La Scala, il Massimo di Palermo) pronte a mettere a rischio capitali anche ingenti. Non solo la escalation dei costi è proseguita con un ritmo da ricordare quella indetta a metà anni Sessanta dal Segretario alla Difesa Usa, Robert. S. McNamara, in VietNam. Oggi mediamente mettere in scena uno spettacolo nelle fondazioni italiane ha un costo pari al 150% della media dell’Ue a 15 e di oltre il 200% dell’Ue a 27. Il 70% dei costi riguarda il personale fisso (masse artistiche, tecniche ed amministrative); quindi, il legislatore non ha altra scelta che incidere su questa voce, bloccando in turn-over, ponendo tetti alla contrattazione integrativa, vietando severamente il malcostume di non presentarsi in teatro (ad esempio alle prove) per svolgere attività professionale privata (insegnare, suonare per altre orchestre e simili). Con alcuni teatri in vario stato di dissesto finanziario (alcuni commissariati, altri appena uscita dal commissariamento, altri ancora sulla via di finirci), non c’erano altre alternative immediate tanto più che negli ultimi dieci anni ,in alcune fondazioni, i costi per il personale sono aumentati del 45%. Curiosamente due fondazioni del Sud (Palermo e Cagliari) brillano per le operazioni di risanamento effettuate ed i conti in regola da alcuni anni.
Occorre chiedersi se, sotto il profilo giuridico, sia appropriato un intervento pubblico sulla contrattazione; occorre però pensare che in alcuni casi l’alternativa sarebbe stata il fallimento giudiziario, con relativa liquidazione dei beni (arredi, scene, costumi) e licenziamento del personale.
A mio avviso, il decreto avrebbe dovuto prevedere anche regole per la gestione: ad esempio, se si ha accesso al Fus (Fondo unico per lo spettacolo), il 70% della programmazione dovrebbe prevedere co-produzioni. In una Italia fatta a Stivale da madre natura, il pubblico non si sposta; è più facile spostare spettacoli. Si dice che il costo di scene e costumi è appena il 5% di un allestimento. A cifra non tiene conto del fatto che in Italia i cachet degli artisti sono mediamente il doppio di quelli nel resto d’Europa e negli Usa perché vengono scritturati per poche (4-6) rappresentazioni; sarebbero molto più bassi se tramite una politica di co-produzioni venissero scritturati per replicare lo stesso lavoro in vari teatri 25-30 volte. Inoltre, si dovrebbe prevedere una “premialità”, analoga a quella dei fondi strutturali europei: le fondazioni che chiudono i conti in attivo e hanno attuato una buona programmazione (in termini di numeri di spettacolo l’anno, qualità degli spettacoli quali valutati dalla critica italiana e straniera) dovrebbero ricevere una dotazione aggiuntiva l’esercizio successivo.
Ora che succederà? Verosimilmente una catena di scioperi. Molti oggi in agitazione dovrebbero rileggere il libro di Rudolf Bing (mitico sovrintendente del Metropolitan di New York) “A Thousand Nights at the Opera” (“Mille Serate all’Opera”). Quando una cosa analoga avvenne al tempio lirico della Grande Mela, il maggior beneficiario fu la New York City Opera, prima di allora considerata un teatro secondario e verso cui affluì il pubblico. Le fondazioni si ritengono indispensabili, ma riflettano: in Italia ci sono una trentina di “teatri di tradizione”, organizzati in circuiti regionali, che producono a basso costo e sono sempre pieni. L’economista Franco Romani amava ripetere che i cimiteri sono pieni di indispensabili.

1 commento:

Stefano ha detto...

Caro Sig. Pennisi,
sono un dipendente di una delle 14 fondazioni liriche italiane e
condivido quasi in toto l'analisi sullo sfascio delle suddette fondazioni.
Vorrei soltanto farla riflettere su un altro dato: nel 2009 il FUS ammontava inizialmente a 360 milioni di euro, cifra sulla quale è stato calcolato che il solo costo del personale assorbe il 70% dei finanziamenti pubblici erogati alle fondazioni (vogliamo andare a vedere quanto stanziano altri paesi europei?); in un secondo momento, dopo tante proteste, il Ministro ha "generosamente elargito" altri 60 milioni, facendo cascare la cosa dall'alto anche se in realtà non era altro che un parziale reintegro di un taglio gigantesco; a questo punto, essendo aumentata la cifra del finanziamento, mi sembra che la percentuale del 70% (il costo del personale) non sia più tale ma sia calata; se torniamo un pò indietro nel tempo vediamo che nel 2001 il FUS ammontava a 520 milioni di euro: a quale percentuale ammontava il costo del personale? Ciò significa che tali dati "snocciolati" più volte dal Governo e dalla stampa, sono stati resi noti SOLO per creare un opinione negativa dei dipendenti delle fondazioni ed in particolare delle masse artistiche, fannulloni stra-pagati e stra-viziati! Cari signori, riportate il FUS al livello ALMENO del 2001, vedrete che l'incidenza del costo del personale diminuirà!
Un altro dato, diffuso a suo tempo, è quello secondo cui lo stipendio MEDIO di un dipendente di un fondazione lirica ammonta a circa €72.000 annuali!!!! Ma dove? Ma quando? Datemeli, li prendo subito!!! Lei sa com'è venuto fuori questo dato? Prenda i 360 milioni del FUS 2009, lo divida per 5.000 (che sono all'incirca i dipendenti delle fondazioni liriche italiane) ed ottiene una media di 72.000 euro! Come se il FUS fosse destinato SOLO alle fondazioni liriche e come se i Sovrintendenti (incapaci), Direttori Artistici (incapaci), Direttori Amministrativi (incapaci), Collaboratori a vario titolo (???) non prendessero stipendi che vanno dai 100.000 ai 300.000 euro all'anno!!! MA CHE CONTI FANNO STA GENTE??????
Un'altra fandonia pubblicata a suo tempo: le categorie artistiche hanno un intgrativo che li fa lavorare 16 ore alla settimana! Nel MIO teatro è in vigore il contratto nazionale che prevede 30 ore settimanali. Beh, a volte si fanno tutte le 30 ore e a volte si lavora anche meno di 16 ore: ma è colpa mia o di chi fa la programmazione (Direttore Artistico e Consulenti a vario titolo), che non sa adoperare le risorse di cui dispone per produrre più spettacoli? E non continuino a nascondersi dietro le scarse risorse economiche e\o dietro altre scuse del tipo: "Ma noi non abbiamo il doppio palcoscenico!". Io e tutti i miei colleghi saremmo felicissimi di lavore tutte le 30 ore SEMPRE, se questo significasse Teatro aperto (quasi) tutte le sere a prezzi più "popolari".
Qualcuno dirà: "Ma 30 ore sono poche, gli altri lavoratori fanno più ore!"
E' vero, ma il lavoro di un musicista, sia esso uno strumentista o un cantante, non si esaurisce in quelle 5-6 ore di lavaoro in teatro, no, continua (o precede) a casa o in teatro stesso al di fuori dell'orario di lavoro ufficiale, perchè bisogna prepararsi tecnicamente con degli esercizi appropriati, bisogna studiare le parti che poi verranno eseguite alle prove ed in pubblico, bisogna fare manutenzione e preparare gli strumenti (oliatura degli "ingranaggi" per gli ottoni, costruzione, verifica e collaudo delle ance per gli "strumentini", costruzione delle "bacchette" per le percussioni). E tutto questo porta via più di 6 ore alla settimana...
Caro Sig. Pennisi, mi sono fatto prendere un pò la mano dallo sfogo, ma mi fermo qui, avrei da dire tante cose....
La leggo sempre volentieri.

Cordiali saluti.