TRE VIE E UN PROGRAMMA
Giuseppe Pennisi
L’Italia ha una “dote”, in termini tecnici una “dotazione”; e gran parte degli economisti sembrano non tenerne conto. Anche circa vent’anni fa Douglas C. North ha ottenuto il Premio Nobel per l’Economia per averla individuata e teorizzata. Questa “dote” si chiama “efficienza adattiva”, ossia la capacità di adattarsi al cambiare di circostanze esterne. Pur se l’analisi di North riguarda gli ultimi 500 anni, lo abbiamo dimostrato da tempi ancora più antichi. Quindi, ho fiducia che anche questa volta (a fronte di una grave recessione internazionale e delle intemperanze di alcuni nostri soci nell’unione monetaria), riusciremo a cavarcela bene, senza imporre nuove tasse ed imposte, mettendo le mani nelle tasche soltanto di poche categorie di italiani e ponendo le basi per rilanciare l’economia e ridurre la pressione fiscale contributiva.
In primo luogo, occorre pensare alla spesa pubblica in un’ottica pluriennale e suddividerla in tre grandi categorie (come dal 2002 fanno gli austriaci): a) spese per il futuro (capitale sociale, sia fisso sia umano), b) spese per la gestione dell’esistente (essenzialmente la macchina amministrativa e politica); c) spese per il passato (previdenza, trasferimenti a individui e imprese & simili). Occorre, poi, impegnarsi (a pressione fiscale-contributiva invariata) a potenziare a) riducendo b) e c) ed attrezzarsi con un semplice strumento informatico perché ogni provvedimento o emendamento venga quantizzato in termini di a), b) e c) in modo da responsabilizzarne gli autori.
In questa ottica, come già sottolineato su Il Tempo, occorre evitare di ridurre (come fece il Prodi) le spese per infrastrutture, ma anzi migliorarne la qualità con attenta analisi dei costi e dei benefici sociali. Occorre pure migliorare quelle per istruzione e salute (sempre facendo ricorso all’analisi economica per una migliore selezione). Sono queste tre le maggiori poste di a).
Per contenere b), non solo si devono seguire proposte specifiche de Il Tempo in materia del costo della politica (tetti a indennità e vitalizi, abolizione di enti inutili, concentrazione di quelle fondazioni liriche oggi in subbuglio) e di una più oculata vigilanza di trasferimenti a individui e imprese ma pure operare drastici tagli alle spese per l’acquisto di beni e servizi della Pa (aumentate del 50% in cinque anni, a ragione del salto in avanti durante la gestione Prodi). E’ bene ricordare che negli Anni Novanta, questa voce si aggirava sull’8-9% della spesa pubblica totale, ora sfiora il 18% . C’è probabilmente del grasso da eliminare.
Per ridurre c), una misura più significativa e meno macchinosa della modifica alle “finestre” e dei “contributi di solidarietà” per pensionati, consiste nell’applicare subito (dal primo luglio) la riforma del 1995. I risparmi sarebbero ingenti e non si darebbe l’impressione d’infierire sugli anziani. Inoltre, c’è una giustificazione molto solida: nel 1995, Italia e Svezia adottarono riforme previdenziali molto simili ma in Svezia il periodo di transizione è stato fissato in tre anni ed in Italia in 18 al fine di assicurare il metodo di calcolo precedente ad alcune di categorie di sindacalisti (oggi in pensione; alcuni pure in Parlamento).
Una strategia su queste linee da corpo alla nostra “efficienza adattiva” e guarda al futuro.
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