sabato 22 maggio 2010

QUELLA SPESA (DA CONTROLLARE) CRESCIUTA DEL 40% IN DIECI ANNI Avvenire 22 maggio

QUELLA SPESA (DA CONTROLLARE) CRESCIUTA DEL 40% IN DIECI ANNI
Giuseppe Pennisi
La manovra di finanza pubblica verrà presentata al Consiglio dei Ministri martedì prossimo. Corrono indiscrezioni più disparate sui suoi contenuti. C’è una voce di bilancio che potrebbe essere “il convitato di pietra”. Così come lo fu, in parte in seguito ad una campagna di Avvenire, nella fase successiva alla svalutazione della lira del settembre 1992: in lessico tecnico “i consumi intermedi della Pubblica Amministrazione, Pa – ossia gli acquisti di beni e servizi da parte della Pa. Allora (nel 1992-94) erano attorno all’8,5% della spesa pubblica totale; ora toccano il 18%. Le due cifre non sono strettamente comparabili perché allora gli interessi e l’ammortamento del debito assorbivano il 20% della spesa pubblico totale, mentre ne rappresentano poco più del 7%. In tre lustri, la composizione complessiva della spesa pubblica è mutata. Più eloquenti, le cifre assolute: nel 2000 , secondo un’attenta analisi del Servizio Studi del Senato (organo non certo di parte), toccava i “consumi intermedi” toccavano 80 miliardi di euro (sommando Pa centrali, enti locali ed istituti di previdenza), oggi sono 120 miliardi di euro; se la tendenza in atto dal 2001 non viene arrestata, si arriverà a circa 145 miliardi di euro nel 2013. In termini reali (cioè a prezzi costanti), dal 2001 c’è stato un incremento almeno del 40%.
Nonostante la creazione di società pubbliche centralizzate per gli acquisti (come la CONSIP) varate dai governi di centro destra e le procedure di confronto di merito comparativo introdotte dal centro sinistra (in gergo il “Decreto Bersani”) per la vasta gamma di contratti (co.co.pro- lavoratori a progetto, ecc) che la Pa ha con circa 350.00 “precari”, questa vera e propria escalation non sembra arrestabile se non si usa la scure. Senza dubbio, una determinante importante è stata la esternalizzazione di servizi tradizionalmente forniti dalla Pa: siamo certi che siano cost effective , ovvero che minimizzino i costi totali tenendo conto di costi aggiuntivi di transazione come quelli per il dare indirizzo, monitorare e controllare? Altra determinante è stata il blocco alle assunzioni: chi può assicurare che i concorsi pubblici siano meno validi delle procedure di confronto di merito comparativo per co.co.pro o simili in molti casi sono da tre lustri in un amministrazione con compiti identici a quelli dei funzionari di ruolo?
Certo è impossibile effettuare ora le analisi di cost effectiveness che si sarebbe dovuto fare. Tuttavia, si può ipotizzare una strategia analoga a quella adottata dalla Francia negli Anni Ottanta quando il dilagare dei deficit portavano a frequenti “riallineamenti” (termine educato per dire “svalutazioni”) del franco nel sistema monetario europeo. Si trattò di un taglio lineare a tutte le amministrazioni, chiedendo a ciascuna di esse (nell’ambito del “programme de choix budgettaires”, programma delle scelti di bilancio) di effettuare le pertinenti analisi costi efficacia. E di pubblicarle. In modo che l’opinione pubblica potesse valutarne la qualità. In pochi anni, si arrivò al franco “forte” dell’Accordo del Louvre (cambio fisso con il marco tedesco). Tornando al livello del 2000 si farebbe quasi tutta la manovra. E ci toglieremmo 120 miliardi di dubbi e perplessità. Per usare il lessico del Ministro dell’Economia; è una speranza per fugare la paura

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