La manovra coordinata dell'Eurogruppo
Quello che non si è detto sull'acquisto dei Bond da parte della Bce
GIUSEPPE PENNISI
Un aspetto della manovra a supporto dell’unione monetaria, ancor più che dell’euro, varata in questi ultimi giorni dall’Eurogruppo è l’acquisto di titoli di stato emessi dai Paesi “periferici” . Tale acquisto riguarda sia gli istituti d’emissione che fanno parte del Sistema europeo di banche centrali (Sebc) sia la stessa Banca centrale europea (Bce).
Il Presidente ed il direttorio della Bce hanno affermato, anzi gridato, di avere deciso l’acquisto dei “bonds periferici” in piena autonomia. Trichet ed i suoi colleghi avrebbero fatto una migliore figura se avessero taciuto. La manovra varata, infatti, è unica ed è stata decisa ai più alti livello di Governo – dal Cancelliere tedesco, dal Presidente della Repubblica francese e dai Capi di Stato e di Governo degli altri Paesi dell’area dell’euro – neanche dai loro Ministri economici e finanziari. L’acquisto dei “bonds periferici” è solo un tassello di una strategia di cui l’elemento portante è la messa a disposizione, da parte dell’Eurogruppo, di uno scudo di 750 miliardi di euro per quei Paesi (dell’area) in difficoltà che vogliono e possono attuare programmi di stabilizzazione. E’ una strategia che è stata salutata positivamente dalle Borse e di cui l’acquisto di “bonds periferici” (si parla di 4-6 miliardi) non è, sotto il profilo quantitativo, che un elemento modesto.
In una strategia di riassetto monetario (quale quella in atto nell’area dell’euro), però, i singoli elementi hanno un peso che può un valore differente dal loro mero computo quantitativo.
In effetti, i 750 miliardi di euro assomigliano a qualcosa già noto e sperimentato non ad una versione europea del Fondo monetario internazionale (Fmi), come molti si dilettano a scrivere in questi giorni ma alla “estende structural adjustment facility” del Fmi medesimo, uno “sportello” speciale attivato dopo le crisi debitorie dell’America Latina (fine Anni Ottanta) e dell’Asia (fine Anni Novanta).
L’acquisto dei “bonds periferici” è, invece, una novità in un’unione monetaria: fa diventare le banche centrali nazionali e la Bce “prestatori d’ultima istanza” (ciò vuol dire acquistare “bonds” che altri scansano o comprerebbero unicamente se i tassi d’interesse proposti fossero elevati). Tale funzione di “prestatore d’ultima istanza” non solamente non è prevista nel Trattato di Maastricht ma, secondo le interpretazioni più accreditata, addirittura vietata. Ad esempio, la Banca d’Italia si affrettò ad organizzare il salvataggio dei banchi meridionali (Banco di Sicilia e Banco di Napoli) proprio perché dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht , si sarebbe commessa un’infrazione.
E’ opportuno che le banche centrali e la Bce abbiano tali funzioni? A riguardo, per decenni la letteratura su cosa deve essere la banca centrale ideale, non è affatto concorde su questo punto. Differiscono anche le prassi.
La Banque de France non ha esitato a svolgerla, ma la Bundesbank e la Federal Reserve lo hanno sempre evitato. Il fatto che si sia scelto di svolgerla, per scelta delle singole nazionali e della Bce o perché pilotate dalla politica, è un segnale forte e dell’eccezionalità del momento e della volontà di utilizzare anche strumenti straordinari per farvi fronte. Ciò dimostra pure il contrario di quanto scrivono molti quotidiani: con la manovra coordinata dell’Eurogruppo non siamo alla fine del tunnel. Ma in mezzo ad un guado in cui non vediamo ancora i caratteri dell’altra sponda.
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