Perché i mercati non credono al piano Ue-Fmi
Roma, 13 mag (Il Velino) - Al Fondo Monetario si è ballato una sola sera - quella del 10 maggio. La stessa sera si è fatto festa alla commissione Europea e alla Banca centrale europea (Bce). Il risveglio è stato brutto: l’11 maggio i mercati - di cui il sindacalista francese Marc Blondel ama dire che “ormai i governi sono unicamente dei subappaltanti” - hanno detto a tutto tondo che al programma messo in atto per difendere l’unione monetaria, nonostante le risorse messe in campo, credono poco o nulla. Quindi, il balzo in avanti delle Borse europee e l’apprezzamento dell’euro sono rientrati. Presto per dire se il verdetto è definitivo: un elemento importante sarà il nuovo “patto di stabilità”, che annuncia maggior rigore, specialmente per Paesi come l’Italia con un alto livello di debito pubblico rispetto al Pil. Tuttavia, non sono solamente gli “gnomi di Zurigo” - così li chiamava Nixon quando il dollaro era sotto attacco a ragione del crescente disavanzo della bilancia dei pagamenti Usa (esito, almeno in parte, del costo della guerra in Vietnam) - ma anche economisti di rango, quali Nouriel Roubini che ha predetto con una certa precisione la crisi iniziata nell’estate 2007. E pure columnist economici come Roger Cohen i cui editoriali vengono pubblicati da 100 testate internazionali.
Come la pensa il vostro “chroniqueur” che nel gennaio 1990 scrisse in un breve saggio (sulla crisi delle Borse del 1987) che la “grande moderazione” non sarebbe durata e che nel 2000 commentò la “crisi asiatica” (in un libro edito dalla Banca mondiale) affermando che si trattava di un episodio di un ben più vasto riassetto ancora in preparazione?
Sono perplesso. In primo luogo, è altamente probabile che i 1000 miliardi di dollari (in euro equivalenti) non verranno erogati perché i Paesi che dovrebbero stringere la cinghia non hanno nessuna intenzione di farlo: in Grecia si annunciano scioperi sine die e Giorgio Papandreou potrebbe essere rimandato presto ad insegnare sociologia; in Spagna il governo Zapatero pensa prima alla propria traballante sorte che al riassetto strutturale; in Portogallo si spera nel pellegrinaggio a Compostela per evitare le lacrime e il sangue richieste da Ue e Fmi.
In secondo luogo, il programma non tiene conto del fatto che il nodo riguarda l’economia reale prima e più che la finanza. I Paesi e le aree in ritardo di sviluppo (come il nostro Mezzogiorno) stanno adesso accusando i colpi di essere entrati nella moneta unica senza esserne pronti e di non avere effettuato le riforme strutturali necessarie per restare nell’unione monetaria. In breve, il loro export perde quote di mercato poiché non possono più effettuare (come in passato) svalutazioni competitive. I loro prezzi aumentano perché i loro mercati sono rimasti segmentati e protetti e i bassi tassi d’interesse (conseguenza dell’euro) hanno provocato bolle immobiliari e fondiarie (come in Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda).
Insomma, il ballo di Fmi e Ue è finito. Ma un’altra danza è appena cominciata.
(Giuseppe Pennisi) 13 mag 2010 11:28
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