venerdì 7 maggio 2010

*L’Europa dopo le elezioni britanniche Il Velino 7 maggio

ECO -
Roma, 7 mag (Il Velino) - Dopo le elezioni britanniche l’Europa è più disorientata di quanto non lo fosse prima, proprio mentre la crisi dei mercati finanziari riguarda questa volta il Vecchio Continente, piuttosto che gli Stati Uniti, l’America Latina, l’Asia o l’ex impero sovietico. I laburisti hanno perso molto meno di quanto pensassero i maghi dei sondaggi. I liberal-democratici hanno avuto un’affermazione, ma inferiori alle previsioni. I tories hanno la maggioranza relativa ma per pochi seggi non controllano i Commons. Devono, quindi, o scendere a patti con i liberal-democratici o accettare la proposta laburista di “una grande coalizione”. In Gran Bretagna, i governi di coalizione- grandi o piccole - non hanno mai dato buona prova. Potranno darla ora che il Paese si sta riprendendo da una grave crisi internazionale, è alle prese con gravi fratture interne (prima fra tutte il terrorismo da parte di cittadini del Regno Unito, pur se provenienza asiatica) e sta visibilmente poco comoda in un’Unione Europea rivolta all’est e alle difficoltà della propria sponda mediterranea? Si rischiano settimane di negoziati e forse tra un anno nuove elezioni. Per l’Italia è una lezione importante per tutti coloro che pensano alla fine del bipolarismo e al ritorno a governi di coalizioni e a doppi forni (o doppi fornelli, come quelli a cui stanno pensando i liberal-democratici).
È solo un caso, ma potrebbe sembrare nemesi storica che il cambio di governo in Gran Bretagna - che comunque si verificherà - avvenga proprio nei giorni in cui l’Eurogruppo sta tentando di salvare la Grecia e con esse quella moneta unica europea a cui Londra non ha mai voluto aderire e da cui, secondo il programma dei neo-conservatori, resterà fuori per tutta la legislatura. La Grecia - ricordiamolo - è corsa a chiedere di essere ammessa in quella che oggi è l’Unione europea già nel 1981, appena un anno dopo la fine del regime dei colonnelli, 14 anni prima dell’Austria, della Finlandia e della Svezia e cinque anni prima della Spagna e del Portogallo. Atene ha implorato di entrare nella moneta unica sin dall’inizio dell’avventura e si è sentita ferita nel proprio orgoglio quando le è stato chiesto di fare un anno d’anticamera. La Gran Bretagna, invece, è rimasta per circa tre lustri a osservare se le istituzioni e le regole create con il Trattato di Roma funzionassero. Non ha mai voluto rinunciare alla propria sovranità monetaria ritenendo, a ragione, che una gestione collegiale della moneta e della politica monetaria equivaleva, in pratica, a dovere seguire il più forte (ossia la Germania federale) in momenti di difficoltà.
Il prossimo governo britannico sarà più “atlantico” e meno “europeo”, quale che sia la sua architettura e il suo dosaggio. Ciò non è necessariamente un aspetto negativo. Potrà paradossalmente rafforzare l’Europa tramite un raccordo diretto con gli Stati Uniti che sembrano guardare con molto attenzione l’Asia e i loro dirimpettai in America Latina piuttosto che un Continente che considerano vecchio, brontolone e litigioso. Ciò però vuole anche dire che nell’Ue, mai come oggi, la Repubblica federale tedesca è nel dilemma della Germania di Bismarck. Da un lato, è tanto grande e tanto forte che nulla si può fare senza di lei e che un suo starnuto può dare la polmonite a mezzo continente. Da un anno non è abbastanza grande da prendersi cura dei problemi di tutti (da quelli della Grecia a quelli dei baschi), rendendo il resto dell’Ue un suo protettorato. Mai come oggi quindi la liason atlantica è necessaria. Ed essa passa per Londra.
(Giuseppe Pennisi) 7 mag 2010 19:54

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