L’ACEA E LE SUE SORELLE
Giuseppe Pennisi
E’ riduttivo mostrare – come fa da un paio di settimane il quotidiano milanese Il Sole-24 Ore- il dibattito in corso in seno all’azionariato Acea come una lotta di potere, per di più dando ad esso connotati tipicamente capitolini. Senza dubbio, in tutte le aziende, specialmente se di dimensioni medio-grandi, sono continuamente in atto conflitti tra i maggiori soci (e tra gruppi organizzati di piccoli azionisti). Basta sfogliare due testi recenti di economia aziendale (Mark Roe La Public Company ed i suoi Nemici e Lowell Bryan e Diana Farrell Mercato senza Confini) per toccarlo con mano e rendersi conto che tali differenze di punti di vista sono, fisiologicamente, il sale dell’innovazione e dello sviluppo imprenditoriale ed è errato trattarli come pettegolezzi da condominio.
L’Ottavo Rapporto di Società Libera Processi di Liberalizzazione in Italia (Guerini ed Associati Editore) , presentato di recente a Roma ed a Milano, presenta una panoramica della “liberalizzazione infinita dei servici pubblici locali” e del “capitalismo municipale”. Dallo studio si evince che, specialmente per quanto riguarda l’internazionalizzazione (e il ruolo di soci stranieri), le problematiche interne di Acea non sono dissimili da quelle delle sue consorelle. Non soltanto in Italia ma nel resto dell’Unione Europea. Lo documenta in dettaglio un lavoro ancora inedito dell’Istituto Universitario Europeo: l’ Institute Robert Schuman Centre for Advanced Studies Working Paper No. 2009/62 ( si può averne copia rivolgendosi , se si vuole a mio nome, al capofila della squadra che lo ha curato, Prof. Judith Clifton judith.clifton@unican.esp ). L’analisi è utile non solo perché distante e distante dalle nostre beghe di bottega ma poiché , sulla base di dati concreti dell’intera Ue, traccia tipologie dei nessi tra liberalizzazione – quale richiesta dalla normativa europea (di cui il “Decreto Ronchi” è l’applicazione in Italia) ed internazionalizzazione di servizi pubblici nei campi in cui opera l’Acea.
I dati vengono confrontati con tre ipotesi esplicative: a) i servizi pubblici locali maggiormente soggetti a liberalizzazioni sono quelli che tenderebbero maggiormente a diventare multinazionali; b) si internazionalizzano specialmente i servizi pubblici locali che utilizzano la rendita monopolistica per una strategia aggressiva di conquista di mercati esteri (e di attrattiva per soci stranieri); c) i percorsi variano molto da impresa ad impresa (sempre di servizi pubblici locali) in materia sia di liberalizzazione sia d’internazionalizzazione. In base ad un elaborato studio statistico – utilizzando principalmente cluster analysis per individuare le caratteristiche principali delle imprese in esame-, la ricerca conclude che la terza ipotesi è la più frequente e che in ciascun caso l’elemento determinante è come logiche politiche (di area, di settore) si coniugano con logiche aziendali.
In parole povere, questo vuol dire che, in una Roma europea, il Principe (nel caso specifico il Campidoglio) ha il dovere, non il privilegio, di utilizzare lo Scettro per indicare tempi, modi e limiti dell’internazionalizzazione dell’Acea e di farlo sulla base delle proposte documentate provenienti dalla realtà aziendale.
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