martedì 15 maggio 2007

MORTI BIANCHE, RISULTATO DI TROPPE E CONFUSE REGOLE

L’inchiostro era caldo nell’appello lanciato il primo maggio dal Presidente della Repubblica in materia di infortuni sul lavoro quando ne sono stati annunciati altri: due morti il 2 maggio nella provincia di Cosenza. Il ritmo non è cambiato nei giorni seguenti. Nel 2006 ci sono stati un milione di incidenti e 1250 morti in 12 mesi: quattro al giorno, al netto dei festivi. Nei primi mesi del 2007, la situazione non è migliorata: 144 vittime soltanto in gennaio e febbraio. L’Italia ha il triste record , tra i Paesi dell’Ue, di essere quello con la più alta incidenza sia di infortuni sia di incidenti mortali sul posto di lavoro.
Quale ne è l’origine? Vogliamo proporre un’ipotesi tanto controcorrente da sembrare iconoclasta: le troppe regole (e la troppa confusione di regole su regole) fa sì che l’applicazione sia lasca e la vigilanza applicata poco e male da un ispettorato del lavoro pur volenteroso e ben intenzionato. Un libro autobiografico di successo (Luigi Furini “Volevo solo vendere la pizza” Garzanti) racconta le peripezie con la normativa sul lavoro (ed in particolare sull’igiene e la sicurezza) di un giornalista cinquantenne il quale, senza prospettive di carriera e deluso, decise qualche anno fa di diventare un piccolo imprenditore aprendo una pizzeria per asporto (un negozietto di 30 metri con forno, banco e servizi igienici) per produrre e vendere pizza al taglio. La vicenda si è svolta non in quel Mezzogiorno che, a torto od a ragione, viene considerato pasticcione od in quella Roma ritenuta, a ragione o a torto, confusionaria, ma in quel di Pavia (dove la pubblica amministrazione è efficiente, il senso civico alto, il capitale sociale consistente ed il controllo sociale elevato). Dopo una mezza dozzina di corsi obbligatori (ma a caro prezzo) in igiene e sicurezza del lavoro, diecine di pratiche e di bolli, ispezioni e controlli di ogni genere, il nostro è tornato a fare il cronista, dopo una perdita di 100.000 euro, la chiusura della piccola bottega, il licenziamento di un paio di collaboratori ed un esaurimento nervoso. Il libro è divertente (per questo è giunto già alla quinta edizione) ma amaro. Non solo nei confronti della burocrazia ma delle miriade di regole nazionali, regionali, provinciali, comunali e del vero e proprio labirinto da esse creato.
Nel lontano 1993 ciò era stata il tema di un convegno tenuto a Roma dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (agenzia dell’Onu non certo barricadiera od iperliberista e nei cui organi di governo sono rappresentati i sindacati): eloquente il titolo – la “grande fuga dal diritto del lavoro”. Lo aveva già scritto in un saggio mirabile un economista tra i beniamini della sinistra, Albert Hirschman: di fronte a troppe regole si scappa- nel sommerso, nell’alegale, ove non nell’illegale. Anche chi è preposto a vegliare alla loro applicazione non sa che pesci pigliare.
Nella XIII e XIV legislatura, sulla scia di una serie di studi Ocse, si è messo l’accento sull’analisi dell’impatto e dei costi della deregolazione al fine di farla dimagrire. Sono stati commissionati studi empirici per appurare i costi delle regole sulle imprese (nella consapevolezza che quando sono troppo alti, la tendenza a scappare diventa forte). Poco si sa dei risultati ottenuti: pare che si sia giunti a rilevazioni affidabili solo in pochi comparti (quali i vivai ed i forni). Nulla si sa in materia di nesso tra le troppe regole, la scarsa possibilità di applicarle e monitorarle, da un lato, e gli incidenti e le morti sul lavoro, dall’altro. Con l’attuale legislatura, l’enfasi è cambiata: l’accento sul miglioramento della regolazione non sul suo drastico snellimento. Sono stati creati una serie di comitati a questo scopo: aspettiamo i risultati prima di valutarli. Forse, sarà necessario il calendario biblico.
Dato che si continua a legiferare e regolare per l’eternità (in Italia non esiste una norma generale in base alla quale dopo un determinato numero di anni una legge ed una regola, se non riapprovata, è abrogata), l’Himalaya regolatorio cresce. E gli infortuni pure.

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