In Italia ci sono 3 milioni di immigrati regolari (la metà donne) e circa 700.000 clandestini. Nelle nostre scuole studiano oltre 600.000 figli di immigrati. Il disegno di legge di legge delega varato dal Governo ed ora all’esame del Parlamento ha l’obiettivo di facilitare l’integrazione sociale degli immigranti e deve essere letto congiuntamente con il ddl varato il 6 agosto sulle nuove (e più facili) regole per la concessione della cittadinanza. Sono due aspetti della stessa strategia: da un lato, agevolare le cittadinanza agli immigrati legalmente residenti in Italia per almeno cinque anni senza interruzione, nonché ai loro figli (specialmente se nati su territorio italiano); da un altro, promuovere l’immigrazione regolare e la concessione di permessi di soggiorno a chi lavora e contribuisce al fisco; da un altro ancora, rendere più severe le sanzioni nei confronti dei clandestini e di chi li sfrutta. L’obiettivo è “l’effettiva integrazione linguistica e sociale” dello straniero in Italia. Il diavolo, però, si nasconde nei dettagli.
In primo luogo, il disegno di legge delega è complesso e macchinoso. Prevede un vasto numero di decreti delegati espropria ancora una volta il Parlamento delle sue prerogative . Mettersi su un percorso complicato (come quello previsto dal testo del ddl) cozza con la semplificazione in atto in generale nell’Ue (quali il sistema a punti, adottato da molti Stati Ue e che Danimarca e Gran Bretagna stanno introducendo, per incoraggiare flussi qualificati, trasparenti ed effettivamente richiesti) Occorre, da un lato, riflettere sulla compatibilità dei dettagli con la normativa europea che dal 2004 (quando l’immigrazione fu il tema centrale del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue ) si sta producendo. Da un altro, se si persegue sulla via indicata, occorre chiedersi perché, se in materia come l’immigrazione si sceglie la complessità, perché si tiene in piedi la barocca architettura messa in atto a Palazzo Chigi per la semplificazione legislativa. E’ un comportamento strabico.
In secondo luogo, lo strabismo riguarda le misure in materia di formazione per “l’effettiva integrazione linguistica e sociale”. Nell’attuale settennato di programmazione dei Fondi strutturali 2007-2013 , l’integrazione sociale è considerata prioritaria; le risorse, quindi, non fanno difetto. Si potrebbe pensare di formare nelle medesime strutture sia gli stranieri che vogliono acquisire l’integrazione “linguistica e sociale” per restare in Italia sia i quadri ed i dirigenti dei Paesi in via di sviluppo che vengono da noi per formazione manageriale e tecnica: si otterrebbero importanti sinergie . Per anni, questa funzione è stata svolta dalla Scuola superiore delle pubblica amministrazione (Sspa) nelle proprie sedi al Sud. In base alla normativa in vigore, la Sspa dove chiudere i battenti il 15 giugno per essere sostituita da un’Agenzia il cui regolamento, ancora in corso di perfezionamento, è contestato da parte dello stesso Esecutivo e dai sindacati. I corsi per l’”effettiva integrazione” verrebbero presumibilmente affidati a imprese con fini commerciali. La tangentopoli della formazione nel primo scorcio degli Anni 90 ha mostrato che ciò ha dato luogo a forme di capolarato, che potrebbero essere agevolate dall’autosponsorizzazione prevista dal ddl (e tale, come già sollevato da esperti del settore, da poter diventare preda di cartelli criminali). Siamo ancora in tempo per mantenere in piedi le sedi della Sspa nel Sud e dedicarle, anche con finanziamenti europei, a questo obiettivo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento