Non è chiaro neanche all’interessato se ed in che misura è nel Palazzo o fuori dal Palazzo. E’ una sensazione che Lamberto Dini provò anche in più giovane età, quando all’inizio degli Anni 70, da co-manager del Dipartimento Africa del Fondo monetario internazionale (Fmi) , diventò “advisor” con sostanzialmente poco da gestire. Si era nella Washington dove frequentava la Paroisse d’expréssion français di R Street, N. W. (nel bel mezzo di Georgetown) ed il buon Père De Rocqois gli suggeriva di essere paziente. Virtù che lo ha premiato portandolo gradualmente a rappresentare l’Italia (ed altri Paesi) nel CdA Fmi, alla direzione generale della Banca d’Italia, alla guida del Ministero del Tesoro e a quella del Governo.
Ora a 76 anni compiuti il primo marzo si dovrebbe godere tranquillamente le “sue” pensioni – Fmi, Banca d’Italia, Parlamento-, nonché l’essere coniugato “bene” (si direbbe nella sua Firenze). Sono, però, proprio le “sue” pensioni a tormentarlo- ossia quelle della legge del 1995 a cui è associato il suo nome. Secondo l’impianto originario, alcuni aspetti chiave della normativa (i “coefficienti di trasformazione” per trasformare in annualità i montanti risultanti dall’accumulo dei contributi) , si sarebbero dovuti riesaminare circa due anni fa. Ora sono al centro di discussioni e negoziati che non si sa quando termineranno.
Forse verrà chiamato a dare un contributo. A tal fine ha trovato di grande utilità "Public Pension Reform: A Primer" (“Riforme dei sistemi previdenziali pubblici: una guida”) di Alain Jousten, appena pubblicato come IMF Working Paper N o. 07/28. Gli ha consentito un aggiornamento veloce su quanto avvenuto in questa materia nel corso degli ultimi dieci anni in cui si è dovuto dedicare alla politica pura. Dovrebbero leggerlo tutti coloro al tavolo della trattativa per il riassetto del sistema.
Dini ha anche scovato una vera chicca :” Outlook for the Defined Contribution Pension Market in Japan" (“Prospettive del sistema previdenziale contributivo in Giappone” di Akiko Nomura apparso nella “Nomura Capital Market Review”. Il sistema nipponico, introdotto cinque anni fa. è modellato, in parte, su quelli , contributivi, entrati in vigore in Italia ed in Svezia quasi contemporaneamente nel 1995, ma fa in gran misura perno su fondi pensione contributivi sostitutivi, in buona misura dell’intervento pubblico. In Giappone il periodo di transizione è sino al 2012. Allora i fondi contributivi avranno circa 8 milioni di iscritti ed una capitalizzazione di 10 milioni di miliardi di yen, mentre i fondi negoziati (nella contrattazione collettiva) non copriranno che il 20% dei lavoratori.
Ciò comporta un’analisi dell’influenza dei fondi pensioni sulla “governance” delle imprese – Urs von Ax (dell’Istituto svizzero di tecnologia a Zurigo) e Andreas Schafer (dell’Istituto universitario europeo a Badia Fiesolana) hanno esaminato l’argomento in "The Influence of Pension Funds on Corporate Governance", CER-ETH Center of Economic Research at ETH Zurich, Working Paper No. 07/63. La conclusione di analisi empirica del funzionamento di fondi europei ed americani è che, tutto sommato, incidono sulle decisioni di banche ed imprese molto meno di quanto non si creda. La determinante principale è la dispersione degli investimenti – diversificatissimi per contenere il rischio. Lo conferma uno studio di Graig Copeland dell’Employee Benefit Research Institute (Ebri) diretto specificatamente ad analizzare l’allocazione delle attività finanziaria nei vari schemi previdenziali sulla base dei dati disponibili più recenti, quelli del 2004 "Retirement Plan Participation and Asset Allocation, 2004"
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