La istituzione di 2Fi , il fondo per le infrastrutture partecipato dalla Cassa Depositi e Prestiti ed a cui partecipano banche e finanziarie italiane e straniere, solleva problemi delicato di quali saranno i criteri per valutare le singole operazioni giustapponendo costi e benefici dal punto di vista della collettività. L’Unità di Valutazione degli Investimenti Pubblici del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo , recentemente trasferito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) al Ministero dello Sviluppo Economico (Mse) ha diramato un utile lavoro “Analisi finanziario e grandi opere: lo schema tipo di Piano economico-finanziario (Pef) per l’attuazione delle legge obiettivo”. Il testo, disponibile al sito www.dps.mef.gov.it/materialiuval , è stato curato da Raffaello Cervini, ora in Banca Mondiale, e da due componenti dell’Uval (Piero Rubino e Sara Savastano). Il lavoro merita una diffusione più vasta (ed a stampa) al pari della “Guida operativa per la valutazione della spesa pubblica per le pubbliche amministrazioni dello Stato, le Regioni e le autonomie locali) in rete sul sito della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (Sspa) e distribuita nell’ambito dei corsi nel Mezzogiorno condotti sempre dalla Sspa. Sono lavori di grande interesse per banche ed imprese, oltre che per dirigenti e funzionari pubblici perché illustrano in modo chiaro anche aspetti difficili di metodo nell’approntare un Pef e nel valutarlo sotto il profilo economico e finanziario.
Per chi opera in questi campi, un aspetto di grande rilievo è il tasso di attualizzazione (o di sconto) per ricavare i vari indicatori di valore finanziario ed economico dell’investimento. Ciò diventerà molto più importante nei prossimi anni man mano che si diffonde la finanza di progetto (e con essa varie forme di partnership pubblico-privato). La “Guida operativa” include una rassegna dei tassi di attualizzazione adottati dalle maggiori istituzioni finanziarie internazionale e in Paesi europei. Il lavoro dell’Uval specifica che ai fini dell’Italia si applica un tasso di attualizzazione reale del 5% indicando che esso corrisponde ad un tasso di nominale prossimo al 6,5% qualora si assuma un obiettivo programmatico d’inflazione dell’1,5% l’anno.
Ciò è in linea con la prassi raccomandata dalla Commissione Europea nelle proprie Guide per la valutazione di progetti a valore su fondi comunitari. Ciò rispecchia , sotto il profilo tecnico-economico, una stima del declino nel tempo del valore dei consumi.
Tuttavia, l’analisi non tiene conto di alcuni aspetti di rilievo in investimenti quali quelli della legge obiettivo. In primo luogo, come sottolineato acutamente da Jean François Mertens dell’Università di Lovanio e Anna Rubinchik-Pessach dell’Università del Colorado nel CORE Discussion Paper N. 2006/91, non considera le implicazioni intergenerazionali di investimenti (come le grandi rete europee) di cui saranno beneficiarie le generazioni future. In Italia, stime econometriche effettuate e pubblicate da Giuseppe Pennisi della Sspa porterebbero a tassi di attualizzazione non superiori al 2,5%.. A conclusioni analoghe giunge Louis Kapkow in un saggio in corso di pubblicazione sulla University of Chicago Law Review ma già in distribuzione tra esperti della materia.
W. Kip Viscosi e Joel Huber nell’ Harvard Law and Economics Discussion Paper n. 543 lanciano un’altra provocazione sulla base di interviste a 2914 testimoni privilegiati a cui sono state sottoposte 5 scelte di politica economica da cui derivano 14570 decisioni: per beni pubblici (giustizia, difesa nazionale, sicurezza interna) e beni ad alto contenuto sociale (acqua) il tasso di attualizzazione risulta iperbolico in quanto i 2914 intervistati mostrano una forte resistenza a ritardarne investimenti e pertinenti consumi.
Altro stimolo interessante è quello di Cameron J. Hepburn, Phoebe Koundouri e Theologos Pantelidis (tutti in università britanniche): in un saggio pubblicato come IIIS Discussion Paper n. 177 stimano come l’incertezza incida sui tassi di attualizzazione per l’investimento pubblico in Australia, Canada, Germania e Regno Unito. Sarebbe auspicabile una stima analoga (da parte dell’Uval) per l’Italia.
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1 commento:
Ma io farei un passo indietro: perchè le grandi infrastrutture (tipo Tav, ponte sullo Stretto) le deve fare lo Stato, e non i privati (tipo tunnel della Manica)?
L'unica ragione plausibile è che quelle opere abbiano un interesse particolare per la nazione (è quindi un "bene pubblico"), ma non siano in grado di remunerare adeguatamente il capitale investito. Solo in questo caso è giustificato l'investimento dello stato.
Ma questo tipo di analisi non è scritta da nessuna parte, nè è prevista da alcun documento.
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