La riunione della Fed non dovrebbe fornire sorprese sui tassi Usa. Nel comunicato del Fedoc verranno reiterate alcune giaculatorie sull’esigenza di tenere la guardia alta nei confronti dell’inflazione , pur se i Governatori della Federal Riserve si faranno i complimenti l’un l’altro per il declino del tasso di aumento dei prezzi al consumo (dal 3,4% l’anno 12 mesi fa al 2,8% l’anno all’ultima conta). Le preoccupazioni di focolai inflazionistici riguardano l’andamento degli ordinativi industriali e dell’occupazione (ambedue in marcato aumento negli ultimi mesi).
Quali le implicazioni per il resto del mondo in generale e per l’Europa in particolare? C’è ancora un differenziale significato tra i tassi a breve negli Usa e nell’area dell’euro: un punto ed un quarto in percentuale in termini nominali e circa un punto (ossia 100 punti di base) in termini reali se si tiene conto della differenza tra tassi di aumenti dei prezzi al consumo nelle due aree. In altri termini, i tassi reali resterebbero bassi nelle due maggiori aree monetarie: poco più dell’1,5% l’anno, per i tassi a breve. Tale livello sarebbe, secondo l’ultimo World Economic Outlook, del Fondo monetario internazionale (Fmi) una delle determinanti non secondarie di una fase di crescita dell’economia mondiale che non avrebbe precedenti dall’inizio degli Anni 70: nel 2006, l’economia internazionale ha segnato un saggio d’espansione del 5,4% , i Paesi maturi già ad alto reddito ne hanno riportato uno del 3,1% e le economie emergenti uno ben del 7,9% (trainate dalla crescita spettacolare dell’Asia- 9,4% - guidata, a sua volta, da Cina, 10,7%, ed India, 9,2%). Pure l’ex-Impero Sovietico appare scoppiare di salute – un aumento aggregato del pil del 7,7% e la stessa malconcia Africa a Sud del Sahara ha segnato l’anno scorso una crescita del 5,7%. E’, però, poco professionale estrapolare tali saggi di aumento del reddito nel medio (ove non lungo periodo).
All’interno dello stesso Fmi, peraltro, non tutti sembrano condividere la ventata di ottimismo del World Economic Outlook. Un lavoro appena uscito dal servizio studi del Fondo esamina i tassi di interesse reali a medio e lungo termine. Sottolinea come, nei Paesi industrializzati ad economia di mercato, non siano affatto bassi rispetto alle tendenze storiche del passato; sulle altre aree gravano determinanti non necessariamente economiche e finanziarie ed è difficile costruire serie storiche sufficientemente lunghe ed affidabili. In effetti, se si prende come metro di riferimento non tanto la differenza tra tassi nominali e indici dei prezzi quanto i rapporti tra prezzi ed utili nell’azionario e si fanno delle stime ragionali del premio di rischio e delle prospettive di tassi di rendimento contabile, si giunge alla conclusione che l’apparente basso livello dei tassi d’interesse è un’illusione ottica. La vera anomalia sarebbe stato l’andamento delle obbligazioni a lungo termine dall’inizio degli Anni 80 e buona parte degli Anni 90..
Un’analisi della Banca centrale europea (Bce) – il working paper n. 745 dell’istituto che alberga all’Eurotower – conferma (pur seguendo un percorso differente) queste conclusioni: l’attenzione è rivolta allo spread dei titoli di Stato decennali (quindi, a medio termine) nell’area dell’euro ed il loro nesso con l’osservanza, o meno, delle regole del Patto di crescita e stabilità. I mercati – dimostrano i numeri – svolgono un’importante funzione di disciplina proprio tramite lo spread.
Due avvertimenti a non leggere con compiacimento, nei prossimi giorni, l’attesa inazione della Fed sui tassi: se non si è affetti dalla miopia del breve periodo, non solo non sono bassi ma incorporano preoccupazioni per il rischio di surriscaldamento dei prezzi Usa.
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