mercoledì 9 maggio 2007

IL DURO PREZZO DA PAGARE PER UN PORTAFOGLIO TRANQUILLO

Il Global financial stability report pubblicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) in occasione delle riunioni primaverili del suo organo di governo (il 14-15 aprile a Washington) solleva un tema interessante , per chi lo legge con attenzione (è disponibile on line a www.imf.org) : se ed in che misura la bassa volatilità dell’azionario degli ultimi anni (escludendo poche eccezioni, come il – non inatteso- tonfo della Borsa di Shanghai di alcune settimane fa) potrebbe indurre gli operatori (specialmente gli investitori istituzionali) ad una propensione al rischio troppo elevata. Il Fmi esprime preoccupazioni per il mercato dell’edilizia residenziale americano ma non intravedere il pericolo di uno shock da volatilità, tale da innescare panico, principalmente in quanto Governi, Banche centrali ed autorità di garanzia e di vigilanza saprebbero fare meglio il loro lavoro adesso (rispetto all’ottobre 1987 quando Wall Street bruciò il 23% della valorizzazione in una sola giornata) ma anche e soprattutto perché i portafogli sarebbero diventati maggiormente diversificati (per titoli, per aree valutarie, e via discorrendo). E’ proprio questa apparente tranquillità che disturba, ad esempio, il settimanale The Economist: se si trattasse di un fenomeno che si autoalimenta, di un riposo destinato ad essere svegliato all’improvviso da un brusco scossone?
Uno studio, ancora inedito, di John Campbell, Karine Serfaty De Medeiros, e Luis Viceira (tutti e tre lavorano a Harvard) smentisce questi timori, con un’analisi molto differente di quella Fmi. I tre esperti analizzano la gestione del rischio in portafogli diversificati non solo per aree valutarie ma anche tra azionario e obbligazionario e tra posizioni a breve ed a lungo. Il periodo in esame è il 1975-2005 , sufficientemente lungo per giungere a generalizzazioni. Al fine di minimizzare il rischio, l’investitore dovrebbe operare a breve sull’azionario in dollari australiani e canadesi, in yen ed in sterline ma a lungo sull’azionario in dollari Usa, euro e franchi svizzeri a ragione di un’interessante asimmetria: le monete si rafforzano quando l’azionario si indebolisce. Tale strategia- aggiungono – funziona bene per operazioni con un orizzonte tra un mese ed un anno; quindi, è essenziale una gestione attiva. Differente il quadro che emerge dall’obbligazionario, dove i movimenti valutari e delle valorizzazioni dei titoli sono simmetrici (nonostante un modesto vantaggio per le posizioni a lungo in dollari Usa).
A conclusioni analoghe giungono Ephrain Alois Clark (della Università di Middlesex) e Konstantinos Kassimatis (Università di Atene) in un lavoro in corso di pubblicazione negli atti del congresso professionale dell’Efa (European financial association) tenutosi a Zurigo alcuni mesi fa. Il loro lavoro verifica la teoria del portafoglio mondiale formulata dal Nobel John Hicks venti anni fa sulla base di dati dal 1974 al 2003. Un portafoglio efficiente deve includere mercato monetario, obbligazionario a medio e lungo termine, azionario costituito da titoli che fanno parte dei principali indici di borsa, derivati sui corsi delle materie prime ed edilizia. Costruiscono un modello di portafoglio efficiente con una forte capacità predittiva.
La diversificazione, però, costa : occorre raccogliere ed analizzare informazioni su una vasta gamma di attività, pagare commissioni e mia discorrendo. Nel fascicolo di marzo del Journal of Indian Management, Lokanandha R. Irala e Prakash Patil (due emergenti esperti di mercato indiani) calcolano che un portafoglio di 10-15 titoli azionari è sufficiente per i risparmiatori indiani; oltre tale livello la diversificazione del rischio è tanto marginale da non essere significativa.
Quindi, l’orientamento del Global financial stability report viene confermato da analisi distinte e distanti effettuate con strumentazioni differenti. Attenzione, però, ai costi della diversificazione.

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