Solo con esportazioni e fra tante
incertezze la crescita non decolla
Si comincia a respirare aria di ripresa. A dare l’annuncio,
non è stato tanto l’Istat quanto due documenti diramati la settimana scorsa
rispettivamente dal Centro Studi Confindustria (Csc) e dall’Assolombarda.
Ambedue stimano che si sarebbe raggiunta una crescita del Pil dell’1,3% nel
2017 e nel 2018. Ciò avverrebbe tramite la leva delle esportazioni,
specialmente delle medie imprese. È facile (e poco utile) ironizzare che gli
azionisti di maggioranza della casa madre sono i medesimi ed hanno nel loro
corpo una ricca rappresentanza di medie imprese. Più interessante analizzare
cosa vuol dire un tasso di crescita dell’1,3% e quali sono le probabilità che
esso venga raggiunto e superato.
In primo luogo, si uscirebbe dalla crescita piatta (a livello
zero) che, accompagnata da due recessioni, ha contrassegnato gli ultimi dieci
anni .In secondo luogo, pochi ricordano che dieci anni fa un gruppo di lavoro
composto da esperti di Banca mondiale, Banca centrale europea, Commissione
europea e Ocse conclusero che, date la demografia, le caratteristiche della
struttura produttiva e le dimensioni medie di impresa del nostro Paese un
aumento del Pil dell’1,3% deve essere considerato «il tasso di sviluppo
naturale» dell’Italia. Quindi, se non intervengono riforme strutturali che
incidano in misura cogente sulla produttività dei fattori di produzione è arduo
che la crescita superi i livelli attuali negli anni futuri. Infine, sul futuro
pende una forte dose d’incertezza. Per gli economisti, l’incertezza è molto
difficile da stimare, a differenza del rischio (per valutare il quale si fa
ricorso al calcolo delle probabilità). Le metodologie e tecniche per derivare
l’incertezza facendo ricorso al calcolo delle 'opzioni reali' sono poco
conosciute ed ancor meno praticate. Data l’attuale situazione internazionale,
affidarsi all’export vuol dire aumentare l’incertezza. Nel lontano 2009, Pier
Carlo Padoan (non ancora ministro) e Paolo Guerrieri pubblicarono un saggio
intitolato 'L’Economia Europea' in cui non si parlava di incertezza ma si
giungeva alla conclusione che per l’Italia una crescita basata sull’export
aveva il fiato corto e si sosteneva la necessità di cambiate marcia
orientandosi su investimenti e consumi interni con particolare attenzione ai
'beni collettivi'. A distanza di 8 anni la teoria sembra ancora valida.
Giuseppe Pennisi
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