OPERA/
Grande successo della nuova Turandot a Torre del Lago
Il nuovo allestimento di Turandot (in programma
sino al 12 agosto; il festival dura sino al 30 agosto) era molto atteso per due
ordini di motivi. Ce ne parla GIUSEPPE PENNISI
18 luglio 2017 Giuseppe Pennisi
Turandot
Il
nuovo allestimento di Turandot (in programma sino al 12 agosto; il
festival dura sino al 30 agosto) era molto atteso per due ordini di motivi; a)
sostituisce quello curato da Maurizio Scaparro, Enzo Figerio e Franca
Squarciapino che, varato nel luglio 2008, ha avuto grande successo non solo al
Festival Pucciniano ma in una dozzina di teatri in tutto il mondo (prova che
Puccini esporta e rende); b) rappresenta una prova coraggiosa in quanto
lo spettacolo è stato affidato non ad un regista di professione, ma ad un
giornalista melomane (Alfonso Signorini, direttore del settimanale
‘Chi’).
Signorini
è affiancato da Carla Tolomei (scene), Cristina Gaeta (coreografia), Fausta
Puglisi (costumi) e Valerio Alfieri (luci). Sul podio il Presidente della
Fondazione Alberto Veronesi. I giornalisti sono versatili e spesso amano la
lirica; Cristiano Chiarot, dopo avere rialzato le sorti de ‘La Fenice’, è stato
chiamato a rilanciare il Maggio Musicale Fiorentino. Per Signorini questa
bellissima edizione di Turandot può essere l’inizio di una nuova
carriera.
Anche
ad un profano di architettura, la struttura (una cavea di circa 3400 posti, un
teatro al coperto di 400 posti, ampi spazi per prove e servizi) non è certo un
teatrino per principianti: immersa in un parco curatissimo e con vista (da
tutti gli ordini di posti) del lago, dell’Appenino e delle Alpi Apuane come fondale
palcoscenico, attraente e funzionale. Per l’intenditore di musica, invece, in
questi dieci anni sono stati fatti sforzi per migliorare ancora
l’acustica ora ai livelli di grandi teatri all’aperto come lo Sferisterio
di Macerata e l’Arena di Verona.
La
vicenda di Turandot è nota: la principessa di ghiaccio (che manda al capestro
tutti i pretendenti non in grado di risolvere i suoi tre indovinelli) si sgela
(e si innamora) di fronte alla prova di amore della schiava Liù pronta a morire
per il principe Calaf. Simbolismo e tardo romanticismo si intrecciano in un
lavoro in cui Puccini incorpora le lezioni del Pelléas et Melisande di
Debussy e de La Donna senz’ombra di Richard Strauss.
L’
allestimento è molto accattivante sotto il profilo visivo e drammaturgico. La
scena unica si apre mostrando il lago da ambedue i lati dell’impianto fisso
(una Pechino del regno delle favole basata su reperti antichi ancora visibili
della capitale cinese- quali la Porta della città proibita). Colore dominante
il rosso delle masse ed il bianco di Turandot.
Le
masse si muovono con agilità encomiabile :il coro di bambini e quello
femminile, meno rodati quello maschile. Sbandieratori e mimi accentuano il
carattere colossal dello spettacolo in un teatro così vasto e per una produzione
concepita con aspettative internazionali –è realizzato in collaborazione con
l’Opera Nazionale della Georgia), Signorini ha colpi innovativi e magistrali.
Specialmente nei due duetti Turandot-Calaf (la scena degli enigmi ed il finale)
e nell’uso delle maschere Ping-Pong-Pang (segnatamente nel primo quadro del
secondo atto).
Nei
due duetti Turandot-Calaf, in cui i registi sovente si affidano alla musica e
lasciano quasi immobili i protagonisti, si avverte l’avanzare dell’eros e della
passione. Altro colpo geniale la vera e propria sfida tra Liù e Turandot al
terzo atto, Molto intelligentemente il sipario sul boccascena per il Nessun
Dorma, facilita il tenore e mostra il soprano che nella sua fredda
stanza guarda alle stelle che tremano d’amore e di speranza.
Sotto
il profilo musicale, due sono i punti salienti. Nel finale Veronesi (che dirige
con rigore) re-introduce alcune di tagli di quello composto da Franco Alfano
sugli appunti di Puccini (morto prima di completare il lavoro) - e non come
ritoccato da Toscanini. Sarebbe stato preferibile fare un vero salto e proporre
la versione integrale del finale di Alfano, non soltanto la più fedele alle
intenzioni dell’autore ma anche la più efficace tra quelle correnti. Stefano La
Colla nel ruolo di Calaf conferma come è dei pochi in grado di affronta ruoli
di tenore con il registro di centro e l’acuto squillante del repertorio
italiano a cavallo tra Ottocento e Novecento; ciò spiega la sua rapida carriera
internazionale.
Hanno
meritato applausi a scena aperta anche la Liù di Carmen Giannatasio e la
Turandot di Martina Serafin un soprano lirico ed un soprano drammatico già
molto affermati.
Pubblico
delle grandi occasioni, con grande partecipazione di esponenti dei media e
della politica.
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