domenica 30 luglio 2017

La mossa del Pd dietro l'allarme di Roma in Il Sussidiario 31 luglio



SICCITÀ/ La mossa del Pd dietro l'allarme di Roma
Prosegue l’allarme siccità in Italia e a Roma non è del tutto scongiurato il rischio di razionare l’acqua. Per GIUSEPPE PENNISI il Pd cerca così di mettere in crisi M5s
31 luglio 2017 Giuseppe Pennisi
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SICCITA' A ROMA. Chiare, fresche et dolci acque scriveva Petrarca. Le acque di Roma sono “fresche”, ma non sono né “chiare”, né “dolci”. Sono nato a Roma nel 1942 e già allora il Tevere veniva aggettivato “biondo” a ragione delle sue acque melmose e giallognole. Nelle soirées di beneficenza organizzate da quel-che-restava-dell’aristocrazia papalina o savoiarda (in quanto insigniti da Casa Savoia) veniva chiamato “Tevere blu” a ragione del colore del sangue che gli organizzatori pensavano scorresse nelle loro vene.
Roma ha rischiato di essere considerata, all’interno della madre Patria e all’estero, come un piccolo Sahel (la zona desertica dell’Africa sub-sahariana) con acqua razionata e file di cittadini con bidoni per approvvigionarsi ai punti di distribuzione. Prima che iniziassi a scrivere questo articolo è giunto un dispaccio Ansa: “C’è l’accordo che evita razionamenti dell’acqua a Roma. ‘Mi è stato comunicato pochi minuti fa dal presidente della Regione Lazio che a breve dovrebbe esserci un provvedimento modificativo della sospensione della fornitura di acqua dal lago di Bracciano verso Roma’. Lo ha detto il presidente di Acea, Luca Alfredo Lanzalone, durante una conference call, aggiungendo che il provvedimento ‘ragionevolmente dovrebbe scongiurare la necessità di turnazione dell’acqua’”.
Per il momento, quindi, la prospettiva di Roma saheliana è stata evitata. Tuttavia, per il medio termine le previsioni non sono ottimistiche. È sempre in campo l’ipotesi della turnazione che coinvolgerebbe un milione e mezzo di romani articolata in otto ore di stop alternato in tre fasce orarie per aree. Quindi, Roma Capitale, con velleità olimpioniche, resta sempre vicina al Sahel.
In questa vicenda, scoppiata quasi all’improvviso nel mezzo di una lunga estate calda, i protagonisti sono essenzialmente due: da un lato, la Regione Lazio (che ha vaste competenza in materia ambientale in base alla revisione del Titolo V della Costituzione) e un gruppo di comuni che insistono sul lago di Bracciano e, dall’altro, il Comune di Roma Capitale. L’Acea - la multi-utility che si occupa anche dell’acqua - è un ente strumentale che opera unicamente nell’ambito delle direttive a lei impartite (e delle risorse a lei attribuite), è una SpA con partecipazione di capitali privati internazionali. Ha, però, il know-how tecnico necessario per fare funzionare il sistema.
È proprio Acea ad affermare che “la drastica riduzione dell’afflusso di acqua alla rete idrica ci costringerà a mettere in atto una rigida turnazione nella fornitura che riguarderà circa 1.500.000 romani”. Sempre Acea ha spiegato così la stima di coloro che potrebbero essere raggiunti dal provvedimento nei prossimi giorni: l’acqua captata dal lago di Bracciano, circa l’8% del totale, serve a coprire il fabbisogno di circa 400mila persone che, in sua assenza, resterebbero a secco per 24 ore. Per evitarlo, ecco l’idea di ridurre i disagi “spalmandoli”. Se il razionamento per ora è ancora uno spettro (che sia il governo, sia il Comune vorrebbe scongiurare), di certo e realmente “in progress” c’è il piano di chiusura temporanea delle fontanelle pubbliche della città elaborato dalla società come una delle misure per far fronte alla crisi idrica.
Professionalmente non tratto problemi idrici da quando lavoravo in Banca Mondiale e da quando al ministero del Bilancio e della Programmazione economica dirigevo il nucleo di valutazione degli investimenti pubblici. Tuttavia, a me sembra che la diatriba di questi giorni abbia un forte calore e colore politico tra una Regione amministrata dal Pd e un grande Comune guidato dal M5S, di cui il Pd vuole evidenziare le pecche, anche perché i sondaggi per le ormai prossime elezioni politiche danno M5S davanti al Pd.
Difficile altrimenti capire perché il problema sia scoppiato adesso. Già negli anni Ottanta uno studio, portato all’attenzione di quello che era il Cipe, evidenziava che gli acquedotti romani erano un colabrodo con perdite enormi, e sottolineava che era essenziale un piano di manutenzione straordinaria finanziato dallo Stato. Da circa cinquanta anni poi Roma è stata quasi sempre governata proprio dai partiti in gran misura confluiti nel Pd. È stato mai proposto un piano di manutenzione straordinaria? Chi ha portato Roma Capitale nel Sahel?
C’è il rischio di un boomerang sulla Regione e su chi la governa.
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