Ma le
posizioni non sono univoche l’Italia parli con una voce sola E serve una legge
costituzionale
Dopo mesi di
silenzio, il Fiscal compact torna a essere centrale nel dibattito politico.
Quando venne firmato, il 2 marzo 2012, l’Italia fu uno dei primi Paesi
dell’Unione Europea a ratificarlo, inserendolo di fatto nella Co- stituzione.
In aggiunta, l’Italia varò una 'legge rinforzata' di bilancio, con cui si è
creato un Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) per assicurare, tra l’altro,
l’applicazione rigorosa del Compact. Quel che pochi ricordano tuttavia è che,
oltre a non inserirlo nei Trattati europei, servirebbe anche una 'leggina'
costituzionale per rimuoverlo da noi. In base all’accordo l’Italia avrebbe
dovuto raggiungere l’'equilibrio di bilancio' annuale entro il limite di un
indebitamento non superiore allo 0,5% del Pil e iniziare la discesa (a un tasso
di un ventesimo l’anno) del differenziale tra rapporto tra stock di debito e
Pil verso un rapporto del 60% (oggi è più del 130% e nei programmi di governo
indichiamo che resterà stazionario). Il Fiscal compact è per ora solo un
accordo intergovernativo. Si è scelta allora questa strada al fine di
sperimentarlo e, dopo, incorporarlo tra i Trattati, ossia inserirlo nel corpo
normativo Ue (scelta preferita della Germania e dei Paesi nordici). Circa un
anno fa, Daniel Gros e Cinzia Alcidi del Ceps, nel saggio 'The Case of the
Disappearing Fiscal Compact', lanciavano le loro frecce principalmente sulla
Francia e su un’Italia alla ricerca di strade per rendere più 'soffice'
l’applicazione degli articoli sull’indebitamento delle pubbliche
amministrazioni, anche perché l’alto debito sarebbe «ormai sotto controllo».
Doveroso ricordare che anche altri Stati dell’Ue hanno firmato e ratificato il
Fiscal compact e non ne seguono a menadito le regole. Dall’analisi di Gros e di
Alcidi la situazione non è migliorata, ma peggiorata. Parti integranti del
Compact come l’unione bancaria sono rimaste monche. Altre, come l’unione dei
mercati dei capitali, non hanno mai visto partire un vero negoziato.
All’interno
del governo italiano, e dello stesso partito di maggioranza relativa, le
posizioni non sono affatto univoche, fra Gentiloni, Renzi e il ministro Padoan.
Non sarebbe il caso di chiedere a un organo terzo (a esempio, l’Upb) di fare
una valutazione dell’accordo, al fine di presentarci con una voce unica?
Giuseppe
Pennisi
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