DAL 14
LUGLIO AL 24 AGOSTO A TORRE DEL LAGO IL FESTIVAL DEDICATO AL GRANDE COMPOSITORE
Il senso di
Puccini per la giustizia...
GIUSEPPE
PENNIS
Il
sessantatresimo Festival Puccini, in scena a Torre del Lago dal 14 luglio al 24
agosto, prende l’avvio con due opere che riguardano la giustizia: Turandot
e La Rondine. La prima è imperniata sulla giustizia ( e grazia)
imperiale. La seconda sulla giustizia borghese. Non sono le sole del
compositore che riguardano temi giudiziari: in Manon Lescaut c’è un
maxifurto con relativo castigo ( deportazione in Lousiana). In La Bohème,
una causa per sfratto, in Tosca un processo per direttissima con
relativa tortura, in Madame Butterfly, l’aspettativa che il sistema
giudiziario americano sia più equo ( nei confronti delle donne) di quello
nipponico, in La Fanciulla del West altro processo per direttissima,
pena di morte e salvataggio in extremis da parte della protagonista la quale, a
cavallo ed armata di carabina, si fa affidare il delinquente ormai pentito, ne
Il Trittico una maxi truffa finanziaria ed immobiliare che porta l’autore
direttamente all’Inferno.
Nella vita
privata, avvocati e magistrati erano frequentazioni consuete di Giacomo
Puccini. O per questioni di diritti d’autore, o per clausole contrattuali non
rispettate, od anche per storie di amanti abbandonate.
Il Festival
quest’anno presenta ben sei delle dieci opere di Puccini, nonché quattro lavori
del Teatro Noraya di Mosca, balletti, l’anteprima italiana di un’opera cinese
su La Lunga Marcia e tre appuntamenti con le nuova edizione della opera
rock di Riccardo Cocciante e Luc Plamondon Notre Dame de Paris. Un
programma, quindi, vasto per tutti i gusti di coloro che scelgono la Versilia
per passare le vacanze o che, come il vostro chroniquer si recano a Torre del
Lago per ascoltare Puccini nei luoghi dove ha vissuto.
Delle due
opere inaugurali, Turandot ( di cui viene presentato un nuovo
allestimento) è notissima ma va collocato in un contesto politico- giudiziario.
All’epoca della concezione dell’opera Mussolini che si piccava di essere un
musicista ( e che era contornato da due schiere di compositori: i
tradizionalisti guidati da Mascagni e gli innovatori capeggiati invece da
Casella e da Malipiero) non solo finanziò il Teatro dell’Opera di Roma in modo
che non fosse secondo a nessuno, lanciò il Festival di Musica Contemporanea di
Venezia per contrapporsi a Salisburgo, ma desiderò ardentemente che venisse
creata “un’opera fascista”. Tentò di farlo unendo il genio del Premio Nobel
Pirandello e del suo innovatore preferito, Malipiero. Non gli andò bene: La
Favola del Figlio Cambiato ebbe una unica rappresentazione. Eppure, l’
“opera fascista”, in quanto a ambientazione, clima, messaggio, esisteva già:
l’incompiuta Turandot di Giacomo Puccini. Si prestava a sperimentazione
musicale. In questo contesto, tra gli autori del passato venne riscoperto Carlo
Gozzi con le sue “fiabe teatrali” che si giustapponevano alla commedia borghese.
Un altro compositore italiano ( ma residente in Germania) Ferruccio Busoni
aveva lavorato sullo stesso testo – l’opera di Busoni, che aveva debuttato a
Zurigo nel 1917- viene raramente rappresentata in Italia; Il raffronto tra
Turandot di Busoni e l’opera di Puccini permette più di ogni altra cosa la
differenza di quadro politico e giudiziario. Busoni segue abbastanza da presso
Gozzi, affidando un ruolo importante all’Imperatore ( in Puccini poco più di un
comprimario) e mantenendo le maschere della commedia dell’arte ( Brighella,
Tartaglia e Truffaldino ( i magistrati) che in Puccini diventano Ping, Pong e
Pang). Il totalitarismo che regna a Pechino ( nelle mani della Principessa) è
accettato, ove non visto con benevolenza anche dagli oppositori ( peraltro
sconfitti). Il totalitarismo è essenziale perché in esso “il popolo di Pechino”
ha la propria libertà nei confronti dei tartari. È, poi, un totalitarismo
“benevolo” dato, nel finale, la durezza di Turandot ( frutto di
un’offesa fatta alla sua “ava” ed alla sua Nazione “or son mille anni e mille”)
“si scoglie” in gioia per tutti. Le vicende che portarono a La Rondine (
prima assoluta a Montecarlo il 27 marzo 1917) sono chiave di lettura importante
per comprendere come, appena terminata la Grande Guerra, Puccini si avvicinò al
Fascismo.
Mentre
Mussolini era socialista e divenne quasi improvvisamente interventista, Puccini
non aveva alcuna simpatia per il socialismo e si tenne il più lontano possibile
da un conflitto che per lui presentava un forte nocumento finanziario
personale: il tracollo delle rappresentazioni delle sue opere ( ed ergo dei
pertinenti diritti d’autore) negli Imperi Centrali, dove era molto gettonato.
Inoltre, poco prima dell’inizio delle ostilità, lasciato il suo editore
abituale ( Ricordi) aveva concluso ( con Sonzogno) un contratto per il
Karltheater di Vienna per un genere nuovo di teatro in musica – a metà tra
opera leggera ed operetta La Rondine. Allo scoppio della guerra, non
solo il progetto parve naufragare. Nel frattempo, si era trovato dove far
debuttare La Rondine: il piccolo ma decoratissimo teatro del Casinò di
Montecarlo, che poteva vantare prime assolute di due opere di Massenet e di una
di Berlioz - formalmente in un Principato neutrale ma sostanzialmente in un
ambiente di cultura francese.
Le tematiche
de La Rondine ( l’amore tra un giovanotto di provincia ed una escort
d’alto bordo, respinta dalla borghesia locale, il conflitto è più perbenistico
che giudiziario) e la partitura ( al segno di creatività melodica molto vitale)
sono quanto più distante si possa immaginare da un lavoro in tempo di guerra,
mentre si combatteva la battaglia dell’Isonzo e solo pochi mesi da Caporetto.
Eppure, in casa Puccini il conflitto mondiale si intercalava con quello
famigliare. Il compositore aveva completato Il Trittico a cui lavorava
dal 1913 proprio poche settimane prima di Caporetto e l’epidemia di febbre
gialla. Il figlio Tonio, militare di leva, tornato a casa, tentò il suicidio (
anche per questioni sentimentali). Sua sorella Tomaide morì per l’epidemia. Sua
moglie Elvira intercettò la lettera del console svizzero che, data la
situazione, gli ritirava il visto di accesso a Lugano dove andava
periodicamente ( e frequentemente) dalla propria amante Sybil Seligman; la
tresca, quindi, era svelata all’irritatissima Elvira.
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