MACERATA OPERA FESTIVAL/ La
Turandot d'avanguardia sulle mura dello Sferisterio
Una Turandot
sperimentale che non ha entusiasmato il nostro critico GIUSEPPE PENNISI, ma a
quanto pare è piaciuta agli spettatori. Ecco di cosa si tratta
26 luglio
2017 Giuseppe Pennisi
Foto di
Alfredo Tabocchini
Su questa
testata il 18 luglio, commentando la Turandot, elegante e tradizionale
che apriva
il festival pucciniano di Torre del Lago, abbiamo annunciato che una versione
innovativa della medesima opera era in arrivo allo Sferisterio di Macerata. Ha
debuttato il 21 luglio.
E’ un
prodotto della “premiata ditta” Ricci/Forte che da qualche tempo ha molto
successo in Francia, al Romeuropa Festival ed in vari teatri italiani. E’ la
prima volta che si accostano al teatro in musica. Come affermano nel programma
di sala, la vicenda è spostata dal “mondo delle favole” allo “spazio mentale”
di Turandot, “una distesa di ghiaccio sulla quale ogni forma di vita viene
analizzata e catalogata” per paura di essere posseduta da un uomo e diventare
madre. Una lettura, quindi, psicoanalitica, in armonia con gli anni in cui
Puccini scrisse l’opera e, a Vienna, Freud iniziava la psicoanalisi.
Non è una
lettura né nuova né originale. Di recente, una lettura analoga è stata
presentata da Henning Brockhaus a Roma (2006) e sempre nel teatro della
capitale da Denis Krief (2015). Non esistono DVD né della prima né nella
seconda; dato che Ricci/Forte non sono frequentatori di teatri d’opera, è
comprensibile che non abbiano contezza e pensino che la loro proposta sia
originale. Per chi si vuole avvicinare al teatro d’opera degli anni venti con
riferimento alla psicoanalisi, dovrebbe essere un must studiare il DVD
di Die tote Stadt di Erich Korngold con la regia di Willy Decker (2004),
una produzione che ha fatto il giro del mondo e che la prossima stagione credo
sia in programma a Vienna.
Non mi cale
che l’idea presentata al pubblico di Macerata come originala tale non sia ma
che mentre Brockhaus e Krief hanno dei gioielli di teatro in musica, la
“premiata ditta” ha presentato un “pasticciaccio brutto” simile a quello che il
commissario Ciccio Ingrassia doveva dipanare nel romanzo di Gadda.
Il prodotto
non è rispettoso né del libretto né della musica. Ad esempio, Liù non si
suicida ma viene uccisa da una revolverata di Turandot. Turandot non si fa
baciare da Calaf al termine del duetto finale, ma viene stuprata in una “casa
mobile” (sul tipo di quelle costruite per i terremotati), gli scherani di
Turandot uccidono tutti i bambini di Pechino per timore che uno di essi,
diventato adulto, abbia rapporti con la Principessa di ghiaccio, la quale, dato
che la vicenda è ambientata al Polo (o giù di lì) usa come mezzo di trasporto
un enorme orso bianco.
Inoltre, lo
spettacolo è pieno di gag per épater les bourgeois (cercare di fare
colpo sui piccoli borghesi): il popolo di Pechino al primo atto in verde (come
leghisti o hostess Alitalia), al secondo in abiti scuri, al terzo come
immigrati appena discesi da un barcone o usciti da un CIE. Ping, Pong Pang sono
medici sadici al primo atto, clown da circo al secondo, burocrati-questurini al
terzo. Abbondano i “quasi nudi” maschili che con l’opera non c’entrano nulla.
Anche l’impiego di palloncini bianchi, come per i compleanni dei bambini.
L’aspetto
più sorprendente è che questo “pasticciaccio brutto” è piaciuto al pubblico
che, non ha seguito, le poche flebili proteste ma ha applaudito con calore.
E la parte
musicale? Nella serata, tutta imperniata su Ricci/Forte, ha avuto, ritengo,
poca attenzione. Pier Giorgio Morandi ha diretto con precisione l’orchestra
regionale delle Marche. Carlo Morganti ha avuto difficoltà nel far sì che il
coro Vincenzo Bellini cantasse in modo ordinato. Rudy Park (Calaf) ha voce a
volontà e si è meritato un caloroso applauso dopo Nessun Dorma. Iréne
Theroin (molti la ricorderanno come Brunhilde a Palermo ed alla Scala e come
Turandot a Roma nel 2015), ha strillato un po’ troppo in In quella Reggia e
nella successiva scena negli enigmi (forse perché imbarazzati da tanti maschi
in perizoma mentre sta per iniziare la “storia” tra lei e Calaf) ma è sempre
una brava professionista. Davinia Rodriguez è stata una Liù dalla bella voce ma
dalla dizione del tutto incomprensibile. Difficile commentare gli altri data la
continua agitazione sul palcoscenico.
Lo
spettacolo andrà al Teatro Nazionale Croato di Zagabria che lo co-produce.
Meglio non farne un DVD. Il “diritto all’oblio” vale anche per il teatro
musicale.
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