Cosa può fare il governo
Gentiloni su economia e conti pubblici
Il commento
dell'economista Giuseppe Pennisi
L’ultimo
Bollettino della Banca d’Italia (di cui nei giorni scorsi la stampa ha
riportato ampi stralci) dice essenzialmente che siamo sul percorso di una
ripresa lenta, incerta e soprattutto difficile. Lenta dato che, a oltre metà
anno solare, la Banca d’Italia stima che la crescita economica del 2017
raggiungerebbe l’1,4%, un netto miglioramento nei confronti della crescita zero
degli ultimi due lustri, ma non certo un dato tale da rilanciare l’occupazione,
ridurre la povertà e far diminuire il peso del debito (un mostruoso 2.278.9
miliardi di euro) sul Pil. Molto inferiore comunque alla media Ue (2,1%, Spagna
3%, Germania 2,1%).
Incerta
perché la realizzazione della stima-obiettivo dipende da numerose determinanti
(geopolitiche o di mera politica interna), di cui l’Italia non ha nessun
controllo. Inoltre è quasi interamente trainata – come rileva acutamente Dario
Di Vico sul Corriere della Sera del 16 luglio – dal settore
dell’auto, ed in secondo luogo, dall’export, settori molto sensibili al
contesto politico interno ed internazionale. E restano nodi gravissimi
nell’occupazione (per i giovani e per gli ultra cinquantenni) e nel sociale.
Difficile
perché lo stesso Bollettino ne prevede un rallentamento nei due anni successivi
(1,3% nel 2018; 1,2% nel 2019). Quindi se si ipotizza un rallentamento, non ci
sono motivi per essere allegri.
Il documento
è stato accolto come un segnale che le politiche economiche degli ultimi anni
(senza, però, specificare i punti salienti di dette politiche ed il periodo
specifico di riferimento) stanno avendo un effetto positivo. Dovrebbe invece
essere considerato come un monito: una ripresa lenta, incerta e difficile può
essere rafforzata o indebolita dall’azione di governo. Anche di un governo che
ha pochi mesi di vita a ragione della scadenza naturale della legislatura.
Per
rafforzarla, e renderla (quanto meno in prospettiva, ossia nel 2018-19) meno
lenta, è pericoloso pensare ad una politica di bilancio espansiva (quale quella
tratteggiata nel libro del segretario del Pd, Matteo Renzi): i riflessi
sul debito pubblico potrebbero essere immediati con un’ondata di sfiducia nei
confronti dei titoli di Stato (e non solo) di emittenti italiani. Si dovrebbe,
invece, contenere la spesa corrente e dare spazio agli investimenti. Tuttavia,
le varie spending review non hanno dato risultati apprezzabili perché non hanno
seguito un metodo analogo a quello adottato da altri Paesi. Anzi, la stessa
Scuola Nazionale d’Amministrazione ha smesso di effettuare corsi in materia,
pure di mero aggiornamento del centinaio di cicli formativi tenuti dal 1995 al
2008.
Occorre
puntare su riforme che non costino (ai contribuenti), privatizzare gran parte
del capitalismo municipale e regionale e rivedere il sistema tributario
(esaminando anche la flat tax). Un programma per un governo di legislatura e
non per un esecutivo i cui partiti sono già in campagna elettorale.
Nell’immediato, si deve però giungere in porto con la legge sulla concorrenza
depurandola dai numerosi particolarismi clientelari inseriti durante il
lunghissimo iter parlamentare.
Nei restanti
mesi della legislatura poco si può fare per aumentare le certezze. Il governo
in carica, tuttavia, potrebbe fare quanto è in suo controllo. Predisporre, approvare
in Consiglio dei Ministri e lasciare in eredità al suo successore due
programmi: una per disboscare le selva oscura delle partecipate ed uno per
ridurre il debito pubblico. Il tempo non manca. C’è però la volontà politica in
una campagna elettorale che si presenta all’insegna delle mance?
Nessun commento:
Posta un commento